E poi dicono che uno si butta al centro. Fatti due conti e annotate le ultime sceneggiate dei nostri statisti scappati di casa di ogni ordine e grado, lo scenario politico prossimo venturo è una roba da incubo.
Lo schema dovrebbe essere il seguente. Nel regno delle anime morte incombe inevitabile, dopo l’ultima polpetta fiorentina, la vittoria di Zingaretti e, quindi, il riposizionamento del Pd nel caro, onusto e consolatorio alveo dei Ds. Insomma, finalmente si tornerà a fare il partito “de sinistra”. Sinistra vera, sinistra dura e pura, pronta a riprendere, riviste e corrette, tutte le parole guida di una cultura vecchia e stravecchia, cotta e stracotta, ma che in Italia ha una lunga storia, profonde aderenze nel tessuto sociale e culturale e relazioni escatologiche con tanta parte del mondo dell’editoria. Ma non solo, perché questa svolta non potrà che portare a un’alleanza con i 5Stelle. C’è solo da aspettare che il governo gialloverde si schianti a una delle prossime curve per disarcionare il pallido Di Maio e sostituirlo con l’accoppiata Fico-Di Battista, un ticket di livello non inferiore a quello Castro-Che Guevara, a ennesima conferma che, come diceva quello là, la storia si presenta sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa.
A quel punto, il gioco è fatto. Una sapida alleanza tra due monoliti della sinistra vecchia e nuova che, vista l’aria che tira, non dovrebbero avere problemi a toccare il 40% dei voti. E con un programma politico da mal di testa che, statene certi, non concederà il minimo spazio a retorica e demagogia. E basta e la gente non ne può più e la gente è stufa e lo Stato dov’è e lo Stato cos’è e lo Stato non c’è e dagli alla Casta e dagli alla Trilaterale e dagli ai ricchi e dagli agli imprenditori, anzi, ai “prenditori”, tutti ladri e corruttori ed evasori ed estorsori e vessatori e sfruttatori e mobbizzatori e pensioni per tutti e prepensioni per tutti e sussidi per tutti e giù le mani dall’articolo 18 e giù le mani dagli eroici compagni distaccati del sindacato e giù le mani dagli eroici impiegati assenteisti del Catasto di Donnafugata, dai finti forestali dell’Aspromonte, dai finti invalidi dell’Irpinia e viva la Resistenza, viva gli scioperi sempre di venerdì e accogliamoli tutti e vogliamoci bene e chi ruba nelle case in fondo ha ragione perché, dai, la proprietà è un furto e scuola pubblica e sanità pubblica e tutto pubblico perché il privato è di per sé malaffare e ruberia e giù doppiomoralismo e gruppettarismo e mondialismo e nannimorettismo ed eccebombismo e bla bla bla… Tutto vero. Scusate, come si fa a emigrare in Papuasia?
Dall’altra parte invece, una volta liberatosi della palla al piede dell’infido Di Maio, Salvini potrà finalmente procedere a plotoni affiancati all’annessione dello spazio vitale a destra, assorbendo - sempre a proposito di zombie - quel che resta di Forza Italia e di Fratelli d’Italia, ormai la corrente laziale della Lega, un po’ come Sbardella per la Dc ai tempi della prima Repubblica. E uno pensa e si illude che, senza lo statalismo assistenziale dei grillini, il centrodestra - ormai destra-destra - possa mettere in atto quelle politiche tanto attese al nord e tanto rivendicate dalle piccole e medie aziende. Ma non sarà così. Innanzitutto perché i precedenti parlano da soli. Qualcuno ha visto qualche riforma liberale e liberista dello Stato e dell’economia durante i governi Berlusconi? Qualcuno se ne è accorto? Anche lì, come sempre, le solite chiacchiere e i soliti distintivi sulla libertà di intrapresa e, invece, il solito giogo immanente degli apparati e della burocrazia. E poi, nel momento in cui la Lega si nazionalizza e va a pescare consensi ovunque, facendo accordi con i capataz locali, specialmente a sud, certo prende i voti, ma al contempo si porta in casa tutta la fuffa, tutte le salmerie, tutti i potentati, tutti i gruppi di interesse clientelare che a tutto pensano fuorché a una svolta competitiva e trasparente della società. Ingigantendosi la Lega vince, ma si snatura. Esattamente come è successo a tutti quanti prima di lei, fascismo compreso.
E quindi, vista l’impossibilità di cambiare per davvero le cose, non si farà altro che calcare sempre più la mano sulla propaganda e la demagogia un tanto al chilo che rende tanto, non costa nulla e sposta la soluzione dei problemi. E basta e la gente non ne può più e la gente è stufa e lo Stato dov’è e lo Stato cos’è e lo Stato non c’è e dagli alla Casta e dagli a Bruxelles e dagli alla Trilaterale e dagli all’Ambrosetti e dagli alle banche e ai Rotary e qui si lavora, mica pugnette, e basta negri e basta musulmani e basta datteri e basta dromedari e basta cerbottane e quello lì è un ubriacone e quello là è un pagliaccio e quell’altro se ne vada in pensione e qui lo spread lo si mangia a colazione e qui si accarezzano bambini biondi e qui si falcia il grano a torso nudo e qui si invade la Polonia e tutta la retorica del nazionalismo straccione, della vittoria mutilata, dello Strapaese al potere, della grande Proletaria che agogna un posto al sole e bla bla bla… Tutto vero pure questo. Scusate, come si fa a emigrare in Nuova Guinea?
E intanto, tra queste due osterie boccheggia tutto un mondo di mezzo vastissimo e per niente indifferente alle sorti della nazione, ma che nessuno ascolta e che nessuno rappresenta. C’è una voragine lì in mezzo, al nord così come al centro e, udite udite, forse pure al sud. Curiosi tipi umani ai quali non interessano le cialtronate dal balcone o le dirette Facebook dalla fiaschetteria, ma una soluzione pragmatica e responsabile dei problemi, magari accompagnata da una visione strategica dei prossimi vent’anni all’interno di un orizzonte europeo. Servirebbe solo un signore, completamente diverso da quelli lì, da quelli là e pure da quell’altro che pensa di giocare al nuovo Macron quando Macron è già morto e sepolto, al quale affidare le nostre ultime speranze. Conoscete qualcuno, putacaso?
@DiegoMinonzio
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