Cronaca / Sondrio e cintura
Lunedì 27 Febbraio 2017
«In ospedale per la prima sbronza»
Una casistica completa non c’è, ma si parla di diversi episodi che coinvolgono sempre più minorenni. Sta meglio il giovane finito al pronto soccorso per aver bevuto troppo. Il medico: «Credo proprio non lo rifarà più».
Del ragazzino ubriaco fradicio che si è ritrovato a curare sabato mattina, dopo essersi sentito male durante un’assemblea autogestita a Morbegno, non può parlare. «C’è la privacy», dice, ma Enio Rizzi, per vent’anni medico in otorinolaringoiatra e da dodici responsabile del pronto soccorso di Sondrio, lascia intendere che la situazione si è risolta. E per il meglio.
Allarme rientrato, dunque: il giovane, proveniente da fuori provincia, iscritto al biennio del Saraceno, dopo aver vomitato per il troppo alcol ingerito, è potuto tornare a casa. Prima però, sia lui che i genitori hanno avuto un colloquio come da prassi in questi casi.
«Va detto che i ragazzini che arrivano da noi in pronto soccorso per aver ingerito troppi alcolici, sono di solito alla prima sbronza. Chi è avvezzo non finisce in ospedale. Dico questo non per minimizzare il problema - precisa Rizzi -, ma per far capire che, seppure in presenza di diversi casi, non siamo davanti a un plotone di adolescenti bevitori incalliti».
La procedura sanitaria in casi simili mira innanzitutto a capire se il minorenne entrato in pronto soccorso ha o meno difficoltà respiratorie o di ipoglicemia e se tende a perdere coscienza. «In quel caso fila dritto in rianimazione. Negli altri, invece, si cerca di somministrare liquidi attraverso flebo, in modo da reidratare il corpo e diluire la concentrazione di alcol nel sangue. In questo caso i pazienti vengono presi in carico dal reparto di pediatria dove restano al massimo un giorno o due». Poi a casa, dove li attendono “guinzaglio corto” e sonore ramanzine.
«I genitori solitamente arrivano in ospedale sempre molto preoccupati, poi quando si rendono conto che i loro figli non rischiano la vita, allora alla paura subentra l’arrabbiatura. Molti cadono per così dire dal pero, altri invece sono scocciati perché avrebbero voluto risolvere il “problema” senza ricorrere all’ospedale».
Difficile parlare di casistica. Diversi minorenni giungono in pronto soccorso accompagnati dal personale del 118 («la punta di un iceberg», la definisce Rizzi), come è accaduto sabato mattina per il ragazzino del Saraceno o ieri notte a un 17enne ricoverato alle 3,30 all’ospedale di Chiavenna. Ma in alcuni casi sono gli amici o i genitori stessi a portarli in ospedale
«Proprio così: alcune volte sono i genitori che ce li portano e questo di solito avviene verso le due o le tre del mattino, quando li vedono rientrare in condizioni pietose, ma nella maggior parte dei casi sono gli amici che ci consegnano ragazzini e ragazzine che stanno proprio male e questo avviene verso mezzanotte, l’una».
Ci sono anche periodi dove il fenomeno si ripete con una maggior frequenza. «Di certo sotto le feste, ma i picchi si hanno quando finisce la scuola e la voglia di “festeggiare” è tanta. Poi molto dipende da ogni soggetto: c’è chi si ubriaca con un cocktail, chi invece trangugia un’intera bottiglia... E va anche detto che le bevande molto zuccherine miscelate con superalcolici potrebbero mettere ko chiunque...».
Ma perché si arriva a bere fino a stare male? Fino a stordirsi? «Non tocca a me dirlo. A volte è la logica della “compagnia”, del branco” che influenza molto questi ragazzini - risponde -: c’è chi lo fa per emulazione, chi per spavalderia, chi per farsi notare da un coetaneo o per attivare l’attenzione di un adulto... Ai genitori - prosegue Rizzi - diciamo sempre che è importante capire le motivazioni che hanno spinto il figlio a eccedere. E qui la famiglia deve tenere le antenne ben alzate per captare ogni segnale. Riguardo ai possibili rimedi, devo dire che il dolore fisico che questi ragazzi provano è di per sé uno stimolo a non riprovarci più. Credetemi: stanno davvero male».
Questo per quanto riguarda i minorenni. Poi c’è la “casistica” dei maggiorenni, degli adulti che non aspettano più nemmeno la sera per bere, ma che già all’alba sono da ricovero. «In quel caso parliamo di habitué, purtroppo. “Pazienti noti”, come vengono definiti in gergo, ai quali possiamo cercare di far passare la sbornia, ma niente più. E se per giunta la “ciucca” non è di quelle contente, allora siamo noi medici e paramedici a rischiare grosso, perché solitamente sono soggetti violenti, abituati ad alzare le mani. Ma questa è tutta un’altra storia - conclude - che vorremmo non dover raccontare, anche se purtroppo fa parte della nostra quotidianità».
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