Scampato al piccone nei primi anni ’60 del secolo scorso, grazie a un Comitato cittadino promosso da Giacomo De Santis che ne reclamava la restituzione alla città, e alla determinazione di due sindaci, Angelo Bonaiti e Alessandro Rusconi, il Teatro della Società è da quarantacinque anni il punto di riferimento dell’attività culturale lecchese, luogo d’incontro e di confronto, spazio disponibile per spettacoli, concerti, convegni e manifestazioni di varia natura.
Il suo recupero, in anni in cui i teatri storici venivano demoliti senza rimpianti, ha rappresentato una felice eccezione in una città che ben raramente ha saputo valorizzare il patrimonio edilizio e naturale di cui pur disponeva e basti riandare alla distruzione di ville, parchi e giardini che annoverava con non comune dovizia, dal palazzotto di don Rodrigo alla spettacolare villa Falck al Belvedere, per citare solo due esempi fra i più eclatanti.
Dal 1969, anno della sua riapertura, il Teatro della Società ha dunque rappresentato un caposaldo della programmazione culturale della città, allestimenti di prim’ordine affidati alle più importanti compagnie teatrali italiane, stagioni sinfoniche di ottima qualità, oltre a ospitare spettacoli proposti da altri soggetti, ma sempre caratterizzati da un irrinunciabile livello artistico.
E’ stata davvero meritoria la volontà della pubblica amministrazione di non interrompere l’attività del teatro comunale, nonostante i forti condizionamenti di questi ultimi anni derivanti dalle difficoltà finanziarie. Il cartellone di prosa è stato nel tempo ridotto, meno spettacoli e una sola replica per spettacolo, ma in tal modo si è salvata la programmazione più significativa del Teatro che riesce ormai a stento a garantire un servizio fondamentale per la città.
Ci si chiede se non sia giunto il momento di pensare ad altre forme di gestione, come del resto si era già prospettato in anni lontani, quando ancora non si profilavano all’orizzonte i problemi che si manifestano ora in tutta la loro evidenza.
Quando il Teatro fu riaperto, la gestione fu affidata a una Commissione amministratrice nominata dal Consiglio Comunale che riceveva annualmente un adeguato contributo finanziario dal Comune, dalla Azienda di Soggiorno, dalla Provincia e poi dalla Regione. Altri tempi e altre risorse. Dal 1984, non più consentite le gestioni fuori bilancio, il Comune assunse su di sé la conduzione del Teatro e con risultati più che soddisfacenti.
Ma forse è giunto il momento di ripensare al funzionamento di questa antica istituzione cittadina, coinvolgendo altri soggetti, facendo del Teatro un Ente autonomo, pur rimanendo ovviamente una emanazione dell’amministrazione comunale che avrebbe l’onere e l’onore di una sorta di supervisione, oltre a mantenere la proprietà dell’edificio.
Basterebbe confrontarsi con altri teatri comunali italiani per capire quali strade si possono seguire. Quel che è certo è che non pare più possibile continuare sulla strada fin qui percorsa. C’è dietro l’angolo il rischio di dover chiudere l’attività per mancanza di fondi, il che sarebbe una misura davvero inaccettabile che penalizzerebbe la vita culturale della città.
La nuova amministrazione, fra i molti problemi che si trova ad affrontare, non può ignorare il destino del Teatro Comunale, di là dagli encomiabili sforzi fin qui sostenuti per tenerlo in vita in anni di grandi difficoltà finanziarie.
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