Tanti tanti anni fa, a chi scrive questo pezzo capitò, da carneade dei collaboratori del giornale locale, di partecipare alla prima conferenza stampa della sua carriera. L’occasione per il ragazzotto era oggettivamente clamorosa: l’incontro tra il segretario del più importante sindacato spagnolo e un potentissimo deputato governativo del ramo manzoniano del lago.
Una volta ascoltate le dichiarazioni dei relatori, gli parve naturale porre quella che gli sembrava la più banale delle domande. E cioè se il sindacato spagnolo e il partito governativo italiano, nella progressiva corsa al centro che li aveva contraddistinti in quegli anni, non si ponessero il problema di aver scoperto il lato sinistro e abbandonato così ad altri la difesa dei ceti che storicamente avevano sempre rappresentato. E qui successe una cosa formidabile, che in tutti questi trent’anni di professione gli è sempre rimasta come esempio di altissima pedagogia. Il sindacalista e l’onorevole risposero con cortesia alla domanda. È nelle retrovie, invece, che si scatenò l’inferno. Prima il cronista venne avvicinato da un energumeno con i capelli impomatati che gli chiese: “Lei come si chiama? Per chi lavora? Perché ha fatto questa domanda?”, poi venne avvicinato da un piacione abbronzato che, con fare flautato, gli chiese : “Lei come si chiama? Per chi lavora? Perché ha fatto questa domanda?”, infine venne avvicinato da una damazza aggressiva stile Boniver che gli chiese: “Lei come si chiama? Per chi lavora? Perché ha fatto questa domanda?”. Ma non è finita. Perché qualche giorno dopo venne informato tra le risate dal direttore - che era, stranamente, un fuoriclasse - che un parente del potentissimo gli aveva telefonato per minacciarlo e scolpire nella pietra questo immortale aforisma: “Però, poco socialista quel suo collaboratore…”. Tutto vero.
Bene. Questo microscopico episodio - ma davvero microscopico - incarna però una verità vecchia come il mondo. Il problema, ovunque, ma soprattutto nel paese degli spaghetti alle vongole, non sono tanto i potenti, ma i loro servi che, tutti pervasi dal servilismo che servilmente serve per servire, buttano il cuore oltre l’ostacolo e applicano il Corano dell’ubbidienza in un modo talmente talebano da trascendere le volontà del padrone e arrivare addirittura a danneggiarlo. Il servo sciocco, appunto. E questo dimostra anche, per toccare finalmente l’attualità, che è sbagliato, ovunque, ma sopratutto nel paese del baffo nero e del mandolino, interpretare gli eventi con un taglio drammatico, che è invece quello utilizzato dai nostri media specializzati nell’indignazione permanente effettiva. Basti pensare al caso degli striscioni anti Salvini tolti con la forza dai balconi, dei cellulari sequestrati dai contestatori del ministro e della professoressa sospesa dallo stipendio per il video anti vicepremier dei suoi studenti. Non abbiamo la prova, ma possiamo essere assolutamente certi che queste tre buffonate, grazie alle quali quei vigili del fuoco, quei poliziotti e quel provveditore si sono coperti di ridicolo, non sono stati ordinati o suggeriti dal ministro dell’Interno. Salvini ha mille difetti - ma mille davvero - e può non piacere - e può non piacere davvero -, ma di sicuro non è un cretino. E solo un cretino atomico potrebbe incappare in uno strafalcione del genere.
Il punto non è quello, quindi. E il punto non è manco Salvini, giusto per chiarire che non si tratta di una polemica politica. Il nodo è culturale e riguarda oggi Salvini, ieri Renzi, prima ancora Monti e Berlusconi e D’Alema e Craxi e Andreotti e Giolitti e Crispi e Carlo Alberto e Carlo Codega e Don Rodrigo e Anco Marzio e Tullo Ostilio e Numa Pompilio e chi volete voi. Il tema vero ed eterno e pulsante ed eminentemente letterario è quello del leccapiedi, dello zerbino, dello stuoino, del cicisbeo, del buffone di corte, del ruffiano, del paraculo e di tutto quello che accade nella testa di un essere umano quando annusa il profumo ammaliante del potere e intuisce che c’è spazio anche per lui sotto la tavola del capo, dove si sgomita per grufolare nel truogolo degli avanzi e accaparrarsi le briciole che cascano dalla mensa del padrone del vapore.
In questa sede non interessa indagare su chi abbia dato l’ordine e chi sia il responsabile dei boomerang degli striscioni, dei cellulari e delle prof sospese. Sono tipi eterni. Metafore dell’umanità. Maschere della commedia umana. Immedesimatevi invece per un attimo in loro (e in noi…). Pensate che vita d’inferno, tutta tesa e protesa e adesa alle voluttà del potente e pronta a diventare concava quando lui è convesso e convessa quando lui è concavo e tutto prevedere, tutto ammorbidire, tutto obbedire, tutto ovattare, tutto blandire e tutto (vero, grandi giornalisti eristici dalla schiena dritta?) propagandare. Salvini che si mette la felpa del popolo e i suoi nemici che sorseggiano la tisana in terrazza, Salvini che posta una foto in mutande da Cesenatico e i suoi nemici che declamano poesie cecoslovacche a Capalbio, Salvini che offre il petto per difendere i sacri confini della patria e i suoi nemici che brigano con gli infidi francesi, Salvini che accarezza bambini biondi e i suoi nemici che sovvenzionano negri, rom e terroristi islamici, Salvini che invade la Polonia e i suoi nemici che svendono Alitalia, Salvini che guarisce gli scrofolosi e i suoi nemici che tirano lo sciacquone....
Tutto così. Da sempre. Togliete Salvini e mettete Renzi o Berlusconi ed è sempre la stessa identica solfa. Pensate che calvario, tutto il giorno a pensare e cogitare e grattarsi la pera per mostrare al lider maximo quanto si sia efficienti nel leccare scarpe, spazzolare tappeti e reprimere ogni moto di contestazione, immolati alla causa per sempre. O almeno fino alle prossime elezioni, che se per caso il potente dovesse cadere si ritroverebbe in un nanosecondo solo e abbandonato, come tutti quelli che lo hanno preceduto. Ma questa è un’altra storia…
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