Il problema di Vannacci è la gestione del successo

Era l’agosto di un anno fa quando veniva dato alle stampe, a voler essere precisi, veniva autoprodotto in forma digitale, da Roberto Vannacci “Il mondo al contrario”. È passato un anno e si continua a parlare del libro e del suo autore. Nel frattempo, l’ex generale, divenuto subito un personaggio pubblico, è stato eletto a furor di popolo parlamentare europeo (in ben 500mila lo hanno preferenziato).

Questo sull’onda del successo ottenuto con il suo bestseller(300mila copie vendute).

In una società, nella quale i partiti sono diventati l’ombra del loro leader di turno, è diventato gioco facile scalare vette di popolarità.Non deve quindi meravigliare che un abile comunicatore, che sa maneggiare sapientemente l’informazione (qualità che nessuno gli nega), sia diventato una star con un seguito di fans che lo inseguono nei suoi tour auto promozionali per l’Italia, incuranti del caldo ferragostano.

Il segreto dell’impennata della sua popolarità è di aver detto ad alta voce, in modo chiaro e risoluto, con quella disarmante sicumera che lo rende comprensibile ai più, quello che un corposo segmento di opinione pubblica – vogliamo chiamarla “maggioranza silenziosa”? - non sa dire o non ha il coraggio di dire per timore di essere oggetto di vilipendio dai media dominanti. Vannacci ha fatto di più. Una volta espostosi, ha saputo reggere il confronto con i suoi critici, per nulla intimorito, e in modo per lo più abilmente argomentato.

L’incolto (?) generale mostra di conoscere molto bene le regole della retorica. Un solo esempio. Commentando lo sfregio al murale dedicato a Paola Egonu, ha offerto un saggio della sua abilità. Notoriamente avverso alla multiculturalità, per scongiurare di finire nel girone dei razzisti, ha condannato l’autore del gesto. Non lo ha condannato però di razzismo, bensì di una semplice falsificazione della realtà trasformando da nero in rosa il colore della pelle. Il che gli ha consentito anche di elevare un peana all’autonomia dell’arte e alla libertà di pensiero che rischierebbe di essere lesa dai censori dell’autore dello sfregio.

Vannacci mostra non solo di conoscere la prima regola della comunicazione, ma anche la prima regola della politica. Questa prescrive che non è importante poter contare su degli amici. È cruciale, invece, scegliersi il nemico. È quanto l’autore del “Mondo al contrario” ha scrupolosamente fatto col suo libro. Non c’è pagina in cui non attacchi il “politicamente corretto”. Bisogna dire che la sinistra gli ha fatto generosamente da sponda elevandolo a sua volta a nemico assoluto.

Va detto che nella società della facile popolarità incombe anche il rischio della sua grande labilità. È questa la minaccia che può far eclissare dall’oggi al domani la stella di Vannacci. Il favore del pubblico può repentinamente venir meno vuoi per la raggiunta consapevolezza della sinistra che nell’indicarlo come totem del male assoluto faccia inconsapevolmente il suo gioco, vuoi perché il tormentone del generale fellone può esaurirsi, scavalcato da un nuovo caso capace di mantenere alto lo share dell’infotainment (spettacolo di informazione). Il pericolo che minaccia ora Vannacci è che non sappia gestire il suo successo. È stretto tra due esigenze. Da un lato non può accettare di finire in ombra. Dall’altro, deve restare sulle prime pagine dei giornali senza, però, osare troppo. L’esperienza dimostra che la popolarità ha basi molto fragili e in genere non regge se la si vuol utilizzare per creare un proprio partito. Non vale invocare Berlusconi. Il patron di Fininvest aveva altre capacità e altri mezzi.

L’ex generale, eletto nelle liste della Lega da indipendente, sta comunque mostrando anche su questo punto una certa abilità. Ha dato vita - o, come lui tiene sornionamente a puntualizzare, si è limitato a lasciar nascere – un’associazione culturale che non ingenera dubbi in quali direzione guardi (si chiama IlMondoAlContrario). Come non pensare che siano le prove generali di un suo futuro partito? Lui continua a giurare che non sta pensando di tradire Salvini. Forse, per il momento, gli basta agitare la minaccia.

Chi (la sinistra) combatte apertamente ma anche chi (la Lega) cerca di utilizzarne la popolarità non deve fraintendere la rozzezza culturale del personaggio per dabbenaggine. Finora ha dimostrato di non essere quel dilettante allo sbaraglio che molti vorrebbero fosse.

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