
Da molti anni ormai si parla di dotare la nostra città di un porto, e si tratta di un’opera più che giustificata dal momento che Lecco è una città di lago e perdipiù con velleità turistiche, anche se ben poco si è fatto in questi ultimi decenni, ossia da quando la dismissione delle industrie ha spinto nella direzione di aprire al turismo, per dare concretezza a un disegno in sé più che condivisibile ma assai difficile da realizzare se si considera che una economia basata sull’accoglienza necessita di una tradizione, di una preparazione e di una “cultura” dell’ospitalità che sono il retaggio di una consuetudine affermatasi e affinatasi attraverso le generazioni. Lecco è stata per secoli una città industriale che, a dispetto dell’incantevole scenario in cui è inserito il suo territorio, non ha mai prestato soverchia attenzione alle potenzialità economiche rappresentate dalle sue bellezze naturali, né ha mai sfruttato, come avrebbe dovuto, lo straordinario richiamo costituito dai luoghi manzoniani, tant’è vero che ben poco oggi rimane da mostrare a coloro che si avventurano alla ricerca di una topografia che, seppur in parte idealizzata, era comunque una risorsa preziosa e in grado di recare indiscutibili vantaggi alla città dei Promessi Sposi, sotto molti punti di vista, non ultimo un ritorno economico che, al contrario, non è mai stato preso in considerazione.
Il turismo non ha mai goduto buona salute in questo estremo lembo di “quel ramo”. Quando alla fine dell’Ottocento il lungo caseggiato del “Sunzin” sul lungolago, di fronte all’imbarcadero, fu trasformato in un lussuoso albergo, il “Belle vue au lac”, impreziosito da una superba recinzione Liberty e da cinque cancelli di raffinata esecuzione, gli unici oggi rimasti, i lecchesi, considerando che ben pochi turisti scendevano al Belle vue, subito lo ribattezzarono, con tipico sarcasmo lecchese, “Bell veuj”, ossia “Bel vuoto”.
Tornando al porto e alle travagliate vicende che lo hanno accompagnato in questi ultimi anni, sarà solo da ricordare lo sciagurato megaprogetto dei primi anni ‘2000 che ne prevedeva la realizzazione alle Caviate, ossia nel punto meno indicato del lungolago per l’assenza di una insenatura naturale, con il contorno di una edificazione mostruosa che avrebbe stravolto un angolo di territorio ancora intatto e ricco di fascino. Grazie alla reazione della cittadinanza e alle prese di posizione della stampa locale, e i modo particolare di questo foglio, quel faraonico progetto venne poi ritirato, ma rimase il desiderio di costruire un piccolo porto sul nostro territorio comunale. La proposta di realizzarlo alla Malpensata, là dove insiste una insenatura naturale, sembra condivisibile perché si tratterebbe di un’opera di proporzioni modeste e soprattutto non invasiva.
Sorgono però spontanee alcune considerazioni: a poche centinaia di metri, nella baia di Paré, si sta costruendo un porto di notevoli dimensioni, che prevede perfino un attracco per piccoli battelli. E’ un luogo di singolare bellezza, dove la vista spazia dallo specchio del lago in direzione di Abbadia, al massiccio del Resegone, alle case della città di Lecco. Perché non decidere che sia questo il porto di tutto il bacino lecchese, una struttura inserita con armonia nel paesaggio, senza forzature, senza manomissioni, accogliente, funzionale? Un’altra considerazione è legata a quell’ambizioso progetto, accarezzato da molti anni, ma che in tempi recenti è stato ripreso con molta determinazione, che propone di dar vita a una “grande Lecco”, accorpando altre realtà amministrative come Malgrate, Pescate, Valmadrera.
Sarà probabilmente un iter lungo e anche un poco accidentato, ma questo è nei voti di chi è convinto che solo allargando i confini della città, unendo le forze, solo immaginando un nuovo e più autorevole assetto di un territorio omogeneo ma indebolito da una superata frammentazione municipalistica sarà possibile assicurare un futuro al territorio stesso, favorendone la crescita e la considerazione da parte degli organismi politici e amministrativi. In questa prospettiva, ci pare del tutto superata l’esigenza di realizzare un piccolo porto in città. Se vogliamo pensare in grande, ogni cosa deve avere i crismi della coerenza.
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