Ormai la politica italiana è come un film di Verdone quando era Verdone. Avete presente il famoso “Donne, omini, donne, omini” del mitico Mario Brega alle prese con il figlio hippy interpretato da Verdone medesimo? Ecco, a parte l’aurea che ricopre il governo di Mario Draghi, siamo più o meno ridotti così.
Sul Green pass la Lega vota in ordine sparso: un po’ assieme alla maggioranza e un tantino con l’opposizione perché, hai visto mai, bisogna tenersi buoni tutti i sì vax e i no vax che alla fine solo in cabina elettorale e in pochi altri luoghi sono uguali tra loro. Che poi questo giochetto regga la dice lunga anche sulla condizione degli elettori. Ma si sa, tutto si tiene.
Del resto, in questo paese, e sia detto con tutto il rispetto per il soggetto in questione che ormai giganteggia in politica per demerito altrui, si discute anche sull’eventualità di mandare al Quirinale, Silvio Berlusconi. A parte l’età ormai avanzata e le condizioni di salute non ottimali del leader di Forza Italia, ci si dimentica che proprio queste ultime, gli impedirebbero di presenziare al processo Roby ter in cui è imputato per corruzione in atti giudiziari. Vero che ciascuno è innocente fino al terzo grado di giudizio, che, con buona pace delle riforme, in questo caso potrebbe arrivare addirittura dopo il settennato presidenziale, però dai… Poi uno si butta sui tecnici.
Matteo Salvini, tanto per tornare all’attualità più stretta, ormai è davvero un personaggio della commedia all’italiana. Lui dice una cosa, anzi la proclama, nella Lega dove ormai molti vivono da separati in casa, partono malumori e mal di pancia, poi ci pensa Draghi che convoca una conferenza stampa in cui sono ammesse solo domande al rosolio e dice più o meno l’esatto contrario. Ciao Matteo, mandace una cartolina. La prima Repubblica era quella che era, ma se un partito di maggioranza votava con l’opposizione anche solo su un emendamento alla legge che disciplinava la cottura delle frittelle partivano verifiche, magari crisi, consultazioni al Quirinale, fino ad arrivare, a volte, alle elezioni anticipate. Adesso si sente solo lo strepitare di Enrico Letta, segretario del Pd, a cui ieri si è aggiunto Giuseppe Conte, fresco condottiero dei 5 Stelle, che ripete come uno disco rotto che Salvini deve chiarire o togliere il disturbo. Draghi sorride benevolo e tira dritto. So ragazzi. Ma forse proprio per questo il Capitano può permettersi queste sortite, tanto sa che dal governo i leghisti non li butteranno fuori, paradossalmente perché il presidente del Consiglio, non li considera, almeno per una parte, proprio quella del leader.
Se proprio vogliamo buttarla in politica, queste faccende nel movimento dovevano venire fuori prima o poi. L’attuale numero uno è riuscito a far crescere i voti in maniera esponenziale trasformando in partito sovranista e un po’ populista quello che era uno dei riferimenti politici dei ceti produttivi del Nord e ora è addirittura il principale dopo il declino di Forza Italia. Ecco perché figure dell’ancìen Carroccio come Luca Zaia e, soprattutto, Giancarlo Giorgietti, hanno ancora voce in capitolo.
Per sfondare sotto il Po, però, Salvini si è dovuto adattare a dire sì al reddito di cittadinanza dei fu alleati Cinque Stelle nel governo Conte Uno e a lanciare quota cento per la pensione, provvedimenti visti come il fumo negli occhi dalla vecchia base. Senza i governatori e il ministro per le Attività produttive, con ogni probabilità molti consensi del Settentrione sarebbero migrati altrove. Ma tutte queste contraddizioni cominciano a pesare se hanno ragione i sondaggi che segnano un calo dei consensi tutto a vantaggio, e il problema è proprio qui, di FdI di Giorgia Meloni. La quale sta facendo l’opposizione più comoda che ci sia, in solitaria e senza doversi inventare chissà cosa. Come andrà a finire lo scopriremo con ogni probabilità dopo il test elettorale a Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna. L’unica certezza ora è che le due scarpe in cui Salvini cerca di tenere il piede cominciano a diventare un po’ strettine.
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