
Cronaca / Sondrio e cintura
Giovedì 30 Novembre 2017
«Il nuovo clima ha stravolto la montagna»
Un messaggio chiaro nell’incontro sull’approccio alle terre alte che si è tenuto al teatro Sociale. Smiraglia: «Il volto dei ghiacciai muta in poche settimane» - Aumentano le frane, serve maggiore preparazione.
Dal 1960 al 2010 i chilometri quadrati dei ghiacciai italiani (fra cui anche quelli valtellinesi) sono diminuiti di 156 chilometri quadrati (da 525 mq. a 369 mq.), quasi come la grandezza del lago di Como per intendersi. La temperatura negli ultimi anni, invece, è aumentata di 2 gradi. In soli due mesi nella scorsa estate si è assistito ad un numero considerevole di smottamenti e frane e per raggiungere le quote i percorsi sono diventati più lunghi perché il territorio è cambiato. Eppure – nonostante il cambiamento climatico ci imponga l’interrogativo, cui non è facile rispondere, se adeguarci oppure invertire la marcia – non dobbiamo abbandonare la montagna, dobbiamo amarla e frequentarla. Con consapevolezza a e preparazione.
In uno scenario di forte preoccupazione, è un messaggio di impegno e coscienza civile e umana quello lanciato, ieri, al convegno “Camminare nuovi climi su nuove montagne: sta cambiando l’approccio alle terre alte?” curato dal Comitato scientifico di Sondrio Festival e organizzato in collaborazione con il Museum Hub di Castel Masegra e con il Bim. In un Teatro Sociale occupato dagli studenti delle scuole superiori, non si sono fatti discorsi astratti. Tutt’altro: si sono dati suggerimenti ai giovani perché il cambiamento – se possibile – avviene anche dal basso. Il glaciologo, Claudio Smiraglia, è stato chiaro: «Se andiamo in spiaggia al mare non ci accorgiamo dell’innalzamento delle acque, ma se andiamo in montagna bastano poche settimane per vedere cambiare volto dei nostri ghiacciai», ha detto mostrando alcune immagini come quella, spaventosa, del ghiacciaio Sforzellina ormai sparito. La conseguenza è che «affiorano rocce ovunque che incamerano calore, si formano laghi di fronte ai ghiacciai che si spaccano, aumenta la copertura detritica, i ghiacciai diventano neri, le zone pro-glaciali diventano più vaste».
Parola ormai sulla bocca di tutti il rischio del venire meno permafrost, cioè del ghiaccio interstiziale che sta nelle fessure delle rocce sopra il 2600 metri e tiene insieme le montagne (la mente va alla frana del Cengalo in Val Bregaglia la scorsa estate). «Le frane sono fenomeni normali – ha rimarcato -, il problema che aumentano nel giro di breve tempo». Maurizio Maugeri, professore di fisica dell’atmosfera all’Università di Milano, ha mostrato un grafico in cui si denota il notevole aumento delle temperature dal 1800 al 2017 con un’accentuazione negli ultimi 40 anni, quando la temperatura è cresciuta di due gradi in più rispetto alla prima parte dell’Ottocento.
Marco Caccianiga, che insegna all’Università degli Studi di Milano, ha illustrato le reazioni delle vegetazione al cambiamento del clima: migrazione, adattamento, ricerca di un rifugio dove sopravvivere oppure estinzione. Interessante l’esperienza sul campo della guida alpina Michele Comi: «Se penso alle annotazioni alpine che i nostri nonni prendevano sui tempi di percorrenza delle vie d’alta montagna, mi rendo conto che oggi non si riescono a mantenere quei tempi, nonostante migliore dotazione tecnica ed allenamento – ha detto -. Non siamo diventati più imbranati, ma è cambiata la montagna e ciò rende l’attraversamento in piano più rallentato, le pendenze più ripide. A livello personale non faccio più programmi prima di partire per un’escursione, ai miei compagni di cordata offro quello che la giornata e la stagione permettono. In generale mi piace pensare che si possa cogliere la realtà originale, attivare emozioni e trovare significati in montagna».
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