musicomane incallito e amante del repertorio sinfonico classico, leggo oggi sull'ultimo numero della rivista “Classic voice” una strana classifica che assomiglia vagamente a quella stilata ogni anno per il “Pallone d'oro”, solo che in questo caso si parla di direttori d'orchestra.
Le cento migliori “bacchette” viventi sono state invitate dal direttore del giornale a indicare, con due o tre preferenze, il più grande maestro di tutti i tempi e il risultato appare quantomeno discutibile.
Al primo posto compare Carlos Kleiber, sicuramente eccelso, ma anche suo padre Erich (nemmeno nominato) non scherzava, e al secondo Lenny Bernstein, certo straordinario ma come metterlo davanti a un Furtwängler o a un Toscanini (con tutti i difetti dell'uomo, spesso intransigente)?
Degli italiani compare, oltre all'Arturo nazionale (solo quarto) soltanto Claudio Abbado, onorevole sesto, ma la cosa che grida vendetta se non a Dio, almeno a santa Cecilia, protettrice della musica, è l'assenza in classifica di un grandissimo come Sergiu Celibidache, figura carismatica di filosofo e musicista, insuperabile interprete del repertorio tardo romantico: possibile che nessuno dei colleghi se ne sia ricordato?
Alfonso Carletti
Lecco
Caro Carletti,
la mia competenza in fatto di celebri bacchette non è certo paragonabile alla sua o a quella dei colleghi specializzati. Però mi sento di spezzare una lancia a favore di un'altra grande persona, un italiano, che alla musica ha consacrato l'intera vita così come alla cultura umanistica di cui era permeato: Gianandrea Gavazzeni, fiero bergamasco e cultore della tradizione lombarda.
Lui avrebbe aborrito classifiche come questa, convinto com'era che la musica fosse qualcosa in perenne movimento, una continua scoperta e un costante lavorio di approfondimento, nonché un modo per dare una parte di sé, diversa da un direttore all'altro.
Vittorio Colombo
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