Uno dei tre morti della tragedia in mare di Venezia è l’ingegnere lecchese Fabio Buzzi. Un nome conosciuto in tutto il mondo non solo per la sua passione per la motonautica ma anche per l’impegno da imprenditore nella sua “seconda casa”: il cantiere Fb Design di Annone Brianza, da lui fondato nel 1972 e dal quale sono usciti “gioielli” della nautica sia da competizione che militari: veri e propri concentrati di tecnologia e innovazione per un uomo che a 76 anni ha dedicato una vita a ciò che più amava meritandosi anche l’appellativo di “Archimede” della nautica.
In una maledetta sera di fine estate l’ingegnere ha trovato così la morte finendo con il suo offshore, equipaggiato da due motori da più di mille cavalli, contro una diga di contenimento in laguna a oltre 140 km ora. Inseguiva un nuovo record (tra l’altro ottenuto, sia pure a caro prezzo) che era già suo: quello della Montecarlo-Venezia. L’arrivo era li ad una manciata di miglia e con un tempo stratosferico rispetto al precedente record: quasi 4 ore in meno! Forse, conoscendolo, se ne è andato facendo la cosa che più amava. Ma la realtà è cruda, dura da somatizzare anche se quando si fanno competizioni di questo tipo il rischio è da mettere in preventivo.
Ma chi era quest’uomo che il mondo piange? Fabio Buzzi era innanzitutto Fabio Buzzi. Un personaggio unico nel suo genere; apprezzato soprattutto per la sua grande genialità nell’essere sempre all’avanguardia nel settore. C’è chi dice perché discendeva da una famiglia di grandi architetti, iscritti tra i “maestri comacini”, che nell’arco di 400 anni hanno progettato ed appaltato grandi opere in Europa: dal Duomo di Milano a quello di Francoforte. Insomma il suo era un Dna non comune.
Precisato ciò Fabio Buzzi era, a prescindere, un grande ingegnere, un grande progettista e un grande motonauta (anche se lui si definiva un pessimo pilota). Tanti aggettivi non sprecati come si usa fare in queste circostanze. Insomma un grande uomo, con anche i suoi difetti ed un carattere schietto e diretto, ma comunque inimitabile.
Per trovarlo, a tutte le ore e persino la domenica, bisognava andare alla FB Design ad Annone, il suo cantiere. Nel suo ufficio enorme con trofei, modellini di barche-aerei e vista totale sullo showroom - con le sue storiche barche appese con cavi d’acciaio -, lui ci stava poco se non per consultare il computer o rispondere al telefono. Il suo habitat era il capannone, insieme ai suoi operai. Magari infilato in qualche barca con chiave inglese, cacciavite e il maglione blu alla Sergio Marchionne imbrattato di polvere («E’ Marchionne che ha copiato me» diceva ridendo…).
Lui era in prima linea ben sapendo che dalla teoria alla pratica ce ne passa. E così magari ci scappava la genialità delle sue per risolvere situazioni difficili. Si arrabbiava molto – a ragione – quando i neo laureati in ingegneria meccanica arrivavano da lui per fare praticantato e non sapevano neppure svitare un bullone. Ma se da un lato poteva apparire severo, da un altro ti apriva le porte per essere un giorno qualcuno che aveva avuto come maestro Fabio Buzzi.
E non è esagerato parlare di lui in questi termini. La prova ne sia che in queste ore di tristezza non lo piangono solo la moglie Brunella e le figlie Ebe e Misa ma centinaia di persone sparse su tutto il globo. Sì perché, paradossalmente, Buzzi era più famoso all’estero che nella sua nazione. La riprova qualche anno fa a Cowes, sull’Isola di Wight (quella del famoso concerto pop del 1970 con duecentomila persone e della prima edizione della Coppa America di vela del 1851). Buzzi vinse alla sua maniera sempre in testa dominando gli inglesi considerati grandi navigatori e tra i maggiori esperti al mondo.
Quello che accade dopo ha dell’incredibile perché Buzzi non solo venne osannato come uno di “loro” ma fu chiamato a tenere una relazione di fronte ad un centinaio di esperti inglesi. Tutti in perfetto silenzio ad ascoltare una “lezione” da un italiano. Da non credere, ma è successo proprio nei confronti della persona considerata universalmente una leggenda della nautica.
Ci resterà il ricordo di un motonauta che ha vinto più di 50 titoli mondiali in offshore ed altrettanti, uno più uno meno, record di velocità. Ma anche di colui che ha progettato e realizzato le barche militari più performanti e tecnologiche al mondo per le marine e capitanerie di mezzo globo. Compresa la Guardia di Finanza a cui proprio pochi giorni fa aveva consegnato i primi tre modelli di una importante commessa che aveva innanzitutto consentito ai suoi operai, il suo esercito, di poter avere lavoro garantito per qualche anno.
A lui interessava solo quello. Tanta modestia, niente lussi, poche vacanze, con la prerogativa di reinvestire gli utili per poter guardare al futuro. Il pensiero verso nuove sfide, nuove avventure e perché no, nonostante l’età lo sconsigliasse, qualche altro tentativo di record. Come quello pazzesco di velocità dello scorso anno a 277,5 chilometri/ora sul suo lago con una barca da lui costruita e un motore diesel da 1700 cavalli, entrando nel Guinness dei primati.
Grazie ingegnere per le sue vittorie che sono state anche quelle di un territorio di illuminati e grandi imprenditori, grandi lavoratori e grandi sportivi. Sì proprio come lei caro ingegnere.
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