La mia finestra sull’anno che verrà (il vagito fra due giorni) si dischiude sull’universo dei bambini che sono diventati il mio territorio di elezione, specie dopo la nascita di mia nipote Ginevra. Non è familismo il mio, ma la naturale proiezione di un sentimento, di un amore, di un senso di protezione che si accende quando il fuoco crepita vicino.
Ho spesso, verso l’umanità varia uno sguardo cinico e tendo a formulare giudizi caustici e pungenti specie sugli adulti, in particolare quando vestono i panni pubblici e diventano, di per sé, figura da tenere d’occhio.
Non voglio occuparmi oggi dell’angosciante cruccio della mia vita che sono i bimbi uccisi ogni giorno dalle guerre e dalla fame; la loro tragica fine innesca dubbi e interrogativi fin nella mia fede cattolica e mi induce talvolta a pensare a un Dio più crudele e distratto che misericordioso.
Da ragazzo, nelle stagioni dell’oratorio e del catechismo mi colpiva il monito del profeta Isaia, puntualmente disatteso nei millenni a seguire: “Trasformiamo le lance in falci, le spade in aratri”, indicando, la strada per seminare e raccogliere la pace.
E poi un pensierino da prima elementare: ma il Gesù evangelico, quello della moltiplicazione dei pani dei pesci non potrebbe replicare il miracolo come titolare di una multinazionale del cibo aperta da qui all’eternità?
Voglio allora dedicare qualche riflessione sugli scogli che i genitori incontrano nella tempestosa crescita dei loro figli, in questo tempo segnato da tsunami che travolgono in ogni dove l’uomo e la natura. Scelgo come mia guida il mio giovane collega e allievo Stefano Spreafico, sensibile e ferrato dalla materia sia perché è da tre anni alla guida dell’asilo di Malgrate sia perché - ho il suo permesso di spoilerare vicende private - con la moglie Chiara è in attesa del terzo figlio.
In quattro anni, al netto delle scelte motivate da diverse ragioni, gli iscritti a Malgrate come in altre scuole dell’infanzia del territorio sono dimezzati. I costi di gestione sono aumentati e le rette impennate per compensare le crescenti spese e i magri introiti. Partendo dai numeri, il quadro che emerge nelle scuole dell’Infanzia – lo spaccato della società che ci attende in futuro – è degno di una seria riflessione. Sempre meno italiani scelgono di metter su famiglia. Sempre più diventano genitori oltre i trent’anni di figli unici. Come arcieri che, davanti al bersaglio decisivo, si trovano nella faretra una sola freccia, affidano all’unico erede le loro ambiziose aspettative, destinate spesso a trasformarsi domani in nevrosi. Scatta la scelta alle scuole che offrono, anche se magari solo sulla carta patinata dei depliant o sulle homepage dei siti, un’offera formativa più variegata.
Gli educatori, altro mestiere complesso, sono santificati quando sposano le stesse opinioni dei genitori, pure quelle più bislacche. Oppure denigrati quando si permettono di tradire le ambizioni di mamma e papà, magari non affidando al loro prediletto ruoli di primo piano nella recita natalizia. Bambini che crescono in un mondo social nel quale tutti sono, loro malgrado, protagonisti, destinati un giorno a fare i conti durissimi con il palcoscenico, una società spietata.
Al loro fianco, relegati sin dall’infanzia al ruolo di comprimari, i tanti figli di stranieri che cercano di omologarsi indossando gli stessi vestiti e le stesse scarpe dei loro coetanei. Parlano una lingua a scuola e un’altra in casa e Babbo Natale non porta loro doni il 25 dicembre.
Non frequentano corsi di sci o di nuoto ma passano i pomeriggi spesso da soli negli unici spazi ai quali hanno libero accesso: i parchetti. Sono semi di disuguaglianze destinati a trasformarsi in voragini future, come spiega il bel rapporto sulle povertà educative in Lombardia firmato dalla Fondazione Cariplo.
Urge intervenire, altrimenti a unire le nuove generazioni sarà solo il destino di finire con la testa china non sui libri, ma sullo schermo di uno smartphone.
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