All’inizio degli anni Ottanta in una ridente cittadina del basso lago venne aperta una radio libera che si chiamava Radio University.
Sai che notizia. Quello era il periodo nel quale le emittenti locali nascevano come funghi in tutta Italia. La novità stava nel fatto che quella fosse l’espressione del Fronte della gioventù e del Fuan, insomma, dei giovani di destra, mosche bianche in un ambiente nel quale l’egemonia di sinistra era praticamente assoluta. Da qui lo sconcerto nella ridente cittadina di cui sopra: e allarme e attenzione e risorge il fascismo e tornano i tempi cupi e ignobile attacco alle libere istituzioni democratiche e intollerabile vulnus alla repubblica fondata sul lavoro e sulla Costituzione più bella del mondo e bla bla bla.
E in effetti in quella radio c’era un via vai impressionante di adolescenti, compreso chi scrive questo pezzo, che l’ha frequentata per diverso tempo. Ma la ragione non aveva nulla a che vedere con le squadracce e compagnia cantante, quanto invece semplicemente con il fatto che quella radio era frequentata dalle ragazze più carine, meglio vestite e anche più benestanti della città e, quindi, le mandrie di ragazzotti del circondario - generalmente dei perfetti morti di fame - ronzavano attorno a quell’alveare a caccia di biondine griffate, che magari, con un pizzico di fortuna, uno ci attaccava pure il cappello. Altro che i kolchoz sinistroidi popolati da compagne cispose, con le espadrillas scalcagnate, le gonnellone a fiori e i capelli unti.
E il tasso di fascismo di quei ragazzotti era talmente alto che alle elezioni riuscirono nell’impresa albertosordesca di fare gli scrutatori per il Pci (che però poi gli soffiava metà del gettone, tipico di un partito che ti mette sempre le mani nel portafogli), a volantinare per l’Msi (che invece pagava con panini al salame, patate fritte e contanti di cui era meglio non chiedersi la provenienza) e ad attacchinare i manifesti per il Pli, che essendo il partito della famiglia più ricca della città saldava alla grande e rimborsava pure il conto della trattoria!
Quindi, se la cosiddetta onda neofascista era già una barzelletta nel 1983 - ricordiamoci che eravamo a soli cinque anni dal caso Moro - figuratevi cosa dev’essere nel 2023. E’ questo dettaglio che rende non solo ridicola, ma anche grottesca l’indignazione per le parole del ministro dell’Istruzione Valditara a proposito dell’ormai celeberrima lettera della preside dopo il pestaggio di Firenze. Ora, il ministro ha fatto una solenne fesseria a minacciare sanzioni per un’opinione. E su questo non si discute. Ma la circolare della preside - peraltro scritta con una sintassi scricchiolante e un vocabolario da questurino di Aci Trezza - è un monumento alla retorica sinistroide che tanfa di luoghi comuni, ignoranza delle origini di un movimento politico che ha segnato il Novecento - altro che marciapiedi - e di conformismo benaltrista degno di una sequenza di “Ecce Bombo”.
E infatti, puntuale come la morte, il giorno dopo si è inaugurato il campionato italiano di trombonismo, nel quale i tagli più pregiati del carrello dei bolliti del giornalismo nazionale - ci sono dei numeri di “Repubblica” e della “Stampa” da collezione - hanno dato fondo ai pifferi e ai tamburi scomodando pure Curtatone e Montanara e la piccola vedetta lombarda. Per non parlare di Antonio Scurati – al quale va immediatamente tolto il fiasco – che durante “Propaganda Live” su La7 ha detto che “i ragazzi a scuola non cercano il sapere, ma la verità”. La verità. Lo ha detto. Ma dove siamo, in Iran? Al tribunale in maschera dello Stato etico? Al sinedrio degli ayatollah? Cosa fa di mestiere, Scurati, il prete? Il teologo? Ce l’ha lui in tasca, la verità?
E poi, dov’è questa eversione? Dove sono le schiere di camicie nere? E i plotoni di quelle brune? E le falangi di camicie azzurre che marciano da Tegernsee in direzione di Cantù-Cermenate? Forse che l’inetto Delmastro è un fascista? Forse che il pistola Donzelli è un fascista? Forse che questo mediocre governicchio prepara la dittatura grazie alle orde dei taxisti, dei balneari, dei prepensionati e dei novantenni che non usano il bancomat? E come mai ci ricordiamo sempre dei pestaggi dei fascisti - nota bene: la Procura dei minori che sta indagando parla di “futili motivi” - e mai di quelli dei Black Bloc e dei centri sociali e degli anarchici e dei fan delle foibe e, andando indietro, delle Br, di Lotta continua - avete presente quegli intellettuali à la page che facevano sparare ai commissari di polizia? - di Prima linea? Su tutta questa vasta materia, dai presidi antifascisti, assordanti silenzi. Chissà perché...
Ma la culturetta di regime una settimana prima l’aveva combinata ancora più grossa. Quando era toccato al presidente del Senato finire sotto i colpi dell’indignazione tartufesca a causa del busto di Mussolini conservato a casa sua. Ora, La Russa è uno che tende a farla fuori dal vaso, è un battutista anche eccessivo, ma se difende quel soprammobile dicendo che è un ricordo di suo padre la discussione dovrebbe essere chiusa. Perché qui, e chiunque abbia un minimo di cervello dovrebbe capirlo al volo, entriamo in un territorio sacro. Quello dei padri e delle madri. E ogni speculazione sul rapporto tra genitori e figli diventa una cosa empia, ignobile, indecente.
Tanto per dire, nell’ufficio di chi scrive questo pezzo c’è una foto che ritrae un’adunata fascista del 1934 a Erba. Nel gruppo nutritissimo appare anche, tutto agghindato, suo nonno, che era fascista, fascistissimo, che più fascista non si può: decorato di guerra, San Sepolcro, Salò, arrestato, processato, condannato, amnistiato da quel gigante di Togliatti (ditelo alla Schlein cos’era il pragmatismo dei comunisti), sepolto in camicia nera. Nella foto c’è anche suo figlio balilla di sei anni (i danni che fanno i padri…), che poi è diventato, per ovvia reazione freudiana, comunista, comunistissimo, che più comunista non si può.
Bene, chi scrive ha vissuto in casa la tragedia del Novecento, l’abisso dell’ideologia, e quindi se ne sta ben lontano dalle santificazioni delle masse, della gente, del popolo, delle adunate oceaniche e ritiene l’individuo unico e irripetibile, dalla nascita - anzi, dal concepimento - alla morte, la sola unità di misura. E se qualcuno ha da eccepire che il direttore del più autorevole quotidiano cittadino tenga con sé una foto di fascisti e che non si fa e, insomma, è uno scandalo e la credibilità della testata e la moralità dell’editore eccetera, venga pure a dirglielo in redazione a Como, via De Simoni 6, primo piano. Sarà un piacere ascoltare il fervorino con il ditino alzato di questo eccelso maestro di pensiero e sarà poi un piacere ancora più grande accompagnarlo alla porta a calci nel culo.
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