Economia / Lecco città
Giovedì 03 Aprile 2014
«Il caporalato? Tanti schiavi
Anche nel Lecchese»
Il fenomeno denunciato in un’indagine Flai-Cgil, Massimo Sala: «Casi nell’Alto lago e in Brianza
Tra gli sfruttati ci sono anche lavoratori italiani»
I raccoglitori di pomodori ipersfruttati che guadagnano meno di tre euro all’ora, e che vivono in una situazione di sfruttamento simile alla schiavitù, non sono solo un’emergenza di alcune aree del Sud Italia, perché c’è anche Lecco nell’elenco delle ventidue province in cui si registrano fenomeni di intenso caporalato.
A sostenerlo è la Flai Cgil, il sindacato degli alimentaristi, che ha pubblicato un’indagine sulle agromafie, curato dall’osservatorio Placido Rizzotto. Eppure di sterminati campi di pomodoro in provincia di Lecco non ce ne sono.
E allora, dove si annidano questi enormi fenomeni di sfruttamento? «Sull’alto lago, a Dervio per esempio, ma anche a macchia di leopardo in Brianza», conferma Massimo Sala, segretario della Flai territoriale, che segue da vicino questa nuova (ma consolidata già da qualche anno) emergenza della nostra provincia. «Già perché anche in passato si verificavano casi di sfruttamento da parte di “padroni” senza scrupoli - racconta Sala - ma un tempo, quando la crisi non c’era, era possibile aiutare queste persone a cercare un posto di lavoro che non comprendesse il ricatto umano e la semi schiavitù. Mentre oggi, che il lavoro scarseggia, questi fenomeni aumentano ed è difficile trovare un’alternativa».
Lecco, insieme ad Adro, provincia di Brescia, e Sermide, vicino a Mantova, sono le tre realtà lombarde dove si annidano le situazioni più drammatiche. In Piemonte sono Tortona e Monferrato i luoghi di maggior sfruttamente, mentre nel Nord Est sono Laives e Padova a nascondere fenomeni di illegalità generalizzata.
In tutto sono dodici le regioni in cui si concentra il caporalato. «Qui da noi il lavoro nero è diffuso, così come una pratica ancor più subdola. Capita infatti che, per via di accordi ricattatori, il datore di lavoro assuma con un contratto stabile il dipendente, costretto però a restituire al padrone una fetta importante di quanto guadagna in moneta sonante», dice il sindacalista.
I settori più colpiti sono l’agricoltura, ma soprattutto la floricoltura, diffusa soprattutto in Brianza, la manutenzione del verde e anche gli agriturismi del territorio fanno troppo spesso uso di manodopera assunta illegalmente e sfruttata a più non posso: «I guadagni degli agriturismi sono spesso contenuti e allora si rifanno sulla manodopera. Pagandola poco, un paio di euro l’opra, non più di 300-400 euro al mese», continua Sala.
Fra gli stranieri, i più numerosi sono i rumeni, ma anche marocchini, nord africani, e qualche indiano. Eppure sono in aumento anche gli italiani che si sottopongono a qualsiasi condizione pur di racimolare qualche soldo.
«Tuttavia sono fenomeni difficili da denunciare con nome e cognome - spiega il sindacalista - perché spesso sono le stesse persone coinvolte che accettano queste soluzioni, non essendoci altre alternative. Sono assoggettati e ricattati», proprio qui, nella ricca e benestante Lecco.
Nel nostro paese si può azzardare una stima di 100 mila braccianti gravemente sfruttati, in 5 mila vivono in condizioni di schiavismo vero e proprio, in condizioni igieniche indecenti, spesso ghettizzati. Ma la stima delle persone vittima di sfruttamento sono addirittura 400 mila, che lavorano nei campi 12 o 14 ore al giorno.
Combattere questo fenomeno è davvero difficile, al Sud come al Nord: «Al contrario, il fenomeno è spaventosamente in aumento», dice un allarmato Massimo Sala.
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