Con il 2018 il nuovo secolo è diventato maggiorenne e i giovani nati nel 1999, come i “ragazzi del ’99”, mitici coetanei di un secolo prima, sono chiamati a impegnarsi per l’Italia. A differenza dei predecessori però, hanno la fortuna di non trovarsi nella situazione estrema di una guerra dal precario esito e a doverne ribaltare le sorti.
Non sono dei diciottenni arruolati per leva obbligatoria, ma dei maggiorenni, dei quasi “millenials”, cui viene offerto in piena libertà il diritto-dovere di esprimere per la prima volta un voto. Non devono far fronte a situazioni traumatiche imposte dalla storia, ma hanno comunque il non facile compito di immergersi in una pace dai contorni confusi e darle da protagonisti consapevoli un senso e una direzione.
Sottolineato nel discorso di fine anno alla Nazione dal Presidente Mattarella, l’accostamento tra le due giovinezze merita un’ulteriore riflessione.
Una fotografia dell’Italia intera sembra porre in primo piano vecchi dediti al gioco della giovinezza, dal futuro radioso che non tramonta mai, e giovani rassegnati all’assenza di un futuro, già bruciato nella moltiplicazione delle incertezze.
E in una fotografia di Lecco con le generazioni in posa, l’immagine cambia? In parte no. La popolazione invecchia anche da noi, ma almeno visivamente i giovani ci sono, anzi si distinguono quasi individualmente, fino a poter dare loro un nome. Sono figli di genitori che conosciamo, sono studenti di insegnanti delle nostre scuole, sono persone che incontriamo ripetutamente nelle vie del passeggio, sono presenze che ogni giorno affollano in certi orari i nostri stessi treni o in orari più diversificati gli stessi bar. Sono, un simbolo per tutti, i 14 giovani che in questo inverno, impedendo la chiusura degli impianti e dei punti di ristoro, con energia e passione hanno “salvato” Pian delle Betulle. I giovani del lecchese dunque non sembrano così indifferenti e tanto meno votati alla recriminazione continua. Forse sono più attenti alla realtà in cui vivono di quanto pensiamo. A volte abbiamo l’impressione che si eclissino, ma si spostano soltanto su bande di ascolto e comunicazione diverse. La grande difficoltà resta quella di decodificarne i gusti, di far capire loro la nostra “cultura”, ma insieme di capire la loro “cultura”. Chi ha tanta storia accumulata deve trasmetterla a chi vorrebbe rifugiarsi in un presente assoluto. Chi è carico di presente deve trasmetterne la forza innovativa a chi si fa troppo scudo della tradizione.
Far interagire il passato del mondo adulto con il presente del mondo giovane. È questo il punto nodale su cui Lecco deve spendersi nei prossimi due mesi che ci separano dalle elezioni. È prioritario stabilire un dialogo tra chi vanta anni di frequentazione della politica e chi per la prima volta le si accosta, magari con sospetto o pregiudiziale rifiuto. E la scuola lecchese deve assumere un ruolo trainante in questo ambito, uscendo dall’equivoco del “a scuola non si fa politica”.
Andrebbe spiegato ai nostri giovani che ci sono modalità diverse per essere presenti al proprio tempo. Si può sventolare il velo di cui ci si è liberati in un Iran attraversato da un’ansia di emancipazione, come ha fatto una ragazza disposta a pagarne le conseguenze con l’arresto. A maggior ragione, in un contesto di piena libertà, quella in cui viviamo da decenni, si deve decidere di esserci e di contare.
Rimanere indifferenti e non accedere al voto non è una manifestazione di polemico disincanto, ma la rinuncia a un reale spazio di intervento. Una città come Lecco, se ambisce al futuro, deve dare fiducia e chiedere partecipazione ai suoi giovani diciottenni che di quel futuro sono i primi e più legittimi depositari.
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