Giovani affascinati dal mondo del sociale, ma un terzo lascia il posto troppo presto
Le cooperative chiamate alla sfida di un tasso di turnover sempre più elevato. Basso salario e la concorrenza di ospedali e Rsa tra i motivi di insoddisfazione e abbandono. L’intervista a Lucio Moioli, presidente di Confcooperative Bergamo
Nessun settore del lavoro è immune dal fenomeno dell’abbandono del posto da parte dei giovani, persino le cooperative sociali, realtà che dovrebbero incrociare candidati fortemente motivati, sono trascinate da questa crescente preoccupazione e si trovano a fronteggiare un turnover giovanile che minaccia la stabilità e l’efficacia dei servizi offerti. Le nuove generazioni, pur dimostrandosi più sensibili ai temi etici e sociali, faticano a mantenere l’impegno in un ambito di cura e assistenza che richiede uno sforzo di personalità non indifferente. Questo aspetto si scontra poi con il contesto di lavoro, così il fascino della professione inizia a fare i conti con stipendio e concorrenza tra pubblico (più remunerativo e meno stressante) e privato.
Secondo i dati emersi dalla recente ricerca contenuta nel report «Lavorare in cooperativa oggi», realizzata da Euricse su quasi 1.200 under 35 e commissionata da due consorzi lombardi (Consolida di Lecco e Sol.Co di Sondrio insieme a Confcooperative dell’Adda e con il sostegno della Fondazione comunitaria del Lecchese e della Fondazione Pro-Valtellina) le motivazioni che spingono i giovani a lasciare il lavoro nelle cooperative sociali sono molteplici e spesso interconnesse. Il risultato è che il turnover in uscita si attesta al 35,8% per gli under 35, e in alcuni casi specifici è ancora molto più alto. Nel 53,6% dei casi l’uscita dalla cooperativa è dovuto alla scadenza dei termini del contratto, mentre nel 44,8% alle dimissioni volontarie.
Il disagio dei giovani
Tra le principali cause di abbandono figura il basso salario. A dirla tutta, è uno dei fattori principali di insoddisfazione, con un punteggio medio di 7,58 su 10. I giovani ritengono che il compenso non sia adeguato all’impegno richiesto. Con un punteggio di 6,92, la percezione di ritmi di lavoro intensi è un altro motivo significativo di frustrazione. Questo aspetto è particolarmente rilevante nelle cooperative che operano in settori di assistenza, dove il carico può diventare insostenibile. La difficoltà a conciliare vita privata e lavorativa a causa di richieste di flessibilità oraria è una critica mossa da molti giovani, con un punteggio medio di 5,63. Questo problema è acuito dalla necessità di garantire un servizio continuativo e di alta qualità, che spesso richiede orari variabili e non prevedibili.
Un altro elemento di insoddisfazione è legato ai contratti offerti, spesso percepiti come precari e poco tutelanti. Con un punteggio medio di 6,33, molti giovani vedono nel tipo di contratto un riflesso della scarsa valorizzazione del loro lavoro. Un punteggio di 3,42 evidenzia la percezione di un ambiente di lavoro troppo rigido, dove le possibilità di esprimere la propria creatività e autonomia sono limitate. Questo è un problema particolarmente sentito dalle nuove generazioni, che cercano contesti lavorativi più dinamici e flessibili. Nonostante l’importanza del lavoro sociale, molti giovani, con un punteggio medio di 4,38, non sviluppano un forte interesse per questo tipo di occupazione, sentendo una distanza tra le proprie aspirazioni e le mansioni svolte. Infine, la crescente attrazione verso il lavoro nelle pubbliche amministrazioni (ospedali e Rsa), percepito come più stabile e remunerativo, ha un punteggio medio di 7. Questo fattore contribuisce significativamente all’abbandono delle cooperative sociali, che faticano a competere con le condizioni offerte dal settore pubblico.
Gli aspetti positivi
Di fronte a questa situazione, molte cooperative stanno cercando di rispondere con iniziative mirate a migliorare le condizioni lavorative e attrarre nuovamente i giovani. Tra le strategie adottate si evidenziano la formazione e la crescita professionale: le cooperative sociali stanno investendo in programmi di formazione mirata, con l’obiettivo di garantire una crescita professionale ai giovani lavoratori. Con un punteggio medio di 8,54, questo impegno è riconosciuto dai lavoratori come una componente positiva del loro percorso in cooperativa. Oltre alla formazione specifica, c’è un forte orientamento verso la crescita integrale del lavoratore, con un punteggio di 8,04. Questo approccio mira a valorizzare il contributo individuale all’interno dell’organizzazione, aumentando il senso di appartenenza e motivazione. L’adozione di modalità formative innovative, con un punteggio medio di 7,08, rappresenta un tentativo di rendere l’apprendimento più coinvolgente e utile per il lavoro quotidiano, cercando di rispondere meglio alle esigenze dei giovani.
Un fenomeno complesso
L’abbandono del lavoro nelle cooperative sociali da parte dei giovani è un fenomeno complesso che riflette sia le difficoltà intrinseche del settore sia le aspirazioni delle nuove generazioni. Affrontare queste sfide richiede un impegno congiunto da parte delle cooperative per migliorare le condizioni lavorative, aumentare la competitività rispetto ad altri settori e valorizzare il contributo unico che ogni giovane può portare. Solo attraverso un approccio inclusivo e innovativo sarà possibile invertire la tendenza e rendere nuovamente attrattive le cooperative sociali per i giovani lavoratori.
Intervista a Lucio Moioli, presidente di Confcooperative Bergamo
Maneggiare con cura. No, non stiamo parlando di logistica e consegna merci, ma di un tema molto più delicato: il rapporto con le nuove generazioni nel sistema delle cooperative. Anche l’ambiente più sensibile e vicino ai valori mutualistici - a Bergamo ben radicato e riconosciuto - accusa una difficoltà di dialogo. Ne parliamo con Lucio Moioli, presidente di Confcooperative Bergamo, che ha scelto l’Osservatorio Delta Index per cercare di capire quali soluzioni adottare di fronte a un nuovo fenomeno del lavoro così complesso.
Cosa succede? Anche voi scontate la fatica comune ad altri settori dell’economia nell’attrarre la GenZ?
«Purtroppo sì, ma diversamente dagli altri dobbiamo anche tenere conto della composizione dei nostri associati. Innanzitutto su 280 cooperative iscritte, circa la metà si occupa di sociale, inoltre abbiamo delle peculiarità da tenere ben presenti».
Quali sono?
«La forma cooperativistica non è così conosciuta come quella imprenditoriale. In tante università di economia non la insegnano nemmeno... E spesso paghiamo lo scotto delle coop false, che non pagano e che sfruttano i lavoratori e poi finiscono sui giornali facendo tutto di un’erba un fascio. Poi abbiamo tutto il tema dei servizi welfare: se un infermiere deve scegliere tra cooperativa, ospedale e Rsa, individua nel servizio pubblico un approdo più sicuro e qualificato. Quindi siamo penalizzati su un fronte di immagine e di forma imprenditoriale».
Un punto dolente denunciato dai giovani lavoratori nelle coop è lo stipendio piuttosto basso.
«In alcuni settori c’è un problema di retribuzione, anche se il contratto delle cooperative sociali è stato rinnovato e porterà presto un adeguamento del 13%. Purtroppo però, come accade in generale per gli ambiti del welfare, il lavoro di cura è mano riconosciuto socialmente ed economicamente di altri. Un grave errore di prospettiva del nostro tempo».
I giovani non si affezionano al luogo di lavoro. Saltellano qua e là in cerca del posto che risponde alle loro esigenze del momento. Come fanno le cooperative a costruirsi un futuro solido in tanta precarietà?
«Il tema intergenerazionale è davvero serio per noi. Il patrimonio di una cooperativa si costruisce in una vita, noi abbiamo bisogno di lavoratori che diventino anche soci e in futuro pure amministratori. Oggi invece la prospettiva di permanenza un giovane è attorno ai due anni. In questo lasso di tempo, non solo non coglie il valore del lavoro ma nemmeno lo spirito cooperativistico».
Eppure le nuove generazioni non pongono esclusivamente l’attenzione sulla retribuzione, sono sensibili alla sostenibilità e al valore sociale del lavoro, alle tematiche Esg...
«È vero e in questo noi abbiamo un’enorme potenzialità ma è poca percepita. Dobbiamo essere più bravi a raccontare loro il valore della cooperativa in un orizzonte più lungo. C’è poi l’aspetto psicologico e formativo di lavorare in un ambiente a contatto con casi d’assistenza di una certa difficoltà o gravità, ma i giovani non devono spaventarsi perché, anche con gli strumenti della formazione, sono occasioni di forte crescita».
Quanto è forte il vostro bisogno di reperire giovani lavoratori?
«Le rispondo con i numeri di uno studio recente a livello nazionale: su 540mila lavoratori in 16.500 cooperative, 34.500 sono introvabili, sei mesi fa erano 30mila, cioè più del 10%... E se guardiamo il dato provinciale del nostro Centro servizi, su 8.000 dipendenti, i nuovi assunti sono tra il 15% e il 20%, numeri importanti di persone che abbiamo bisogno continuamente di intercettare».
Cosa si aspetta dal Delta Index?
«Lo vorrei focalizzare sulla capacità di attrarre e quindi selezionare le persone più appropriate. perché noi offriamo stabilità: l’80% dei nostri assunti è a tempo indeterminato. Inoltre Delta Index potrebbe farci riflettere su quale è il gap comunicativo che ci mette in difficoltà nel rapporto con i giovani che hanno strumenti e linguaggi molto diversi da quelli che normalmente utilizziamo».
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