un velo di tristezza scende alla notizia della morte di Fiorenzo Magni, l'ultimo portavoce del ciclismo leggendario a scomparire dalla scena, il terzo incomodo tra Coppi e Bartali, toscano e irruente, chiacchierato per la sua adesione alla Rsi, ma poi collaboratore dei partigiani in Brianza, dove è vissuto vicino a noi in tutti questi anni.
Il suo era un ciclismo ancora romantico, in un dopoguerra che obbligava allo svago per distogliere l'attenzione dai disastri appena trascorsi, così l'Italia si abbandonava al tifo per gli eroi del pedale, con la gente disseminata lungo il percorso del Giro d'Italia, che Magni vinse tre volte, sui balconi delle case, davanti ai bar e ai ristoranti.
Il ciclismo era ancora lo sport nazionale, e Magni accendeva gli entusiasmi per il suo carattere d'acciaio, che lo portò a terminare nel '56 un Giro con la spalla fratturata, gli inseguimenti furibondi, come quello al Mondiale di Varese del '51, dove terminò secondo a un soffio dal vincitore Ferdi Kbler.
Cos i tifosi che per ogni beniamino trovavano un soprannome, gli regalarono quello di “Leone delle Fiandre” per le sue tre vittorie all'omonimo Giro, mentre Learco Guerra, che era stato tra gli idoli del passato regime, era noto come “locomotiva umana”. Era imbattibile in discesa il Magni e per trionfare nelle Fiandre aveva addirittura progettato una bicicletta speciale: un gigante in un mondo di giganti.
Sergio Bonfanti
Merate
Caro Bonfanti,
di fronte agli scandali di cui costellato il ciclismo di oggi, pensare a Fiorenzo Magni che sputa sangue per terminare la tappa del Giro con la clavicola fratturata e un pezzo di tubolare tenuto con i denti per poter azionare il tirante del freno, fa quasi tenerezza.
Ai suoi tempi l'Italia del tifo era divisa in tre e anche i tifosi di Coppi e Bartali rispettavano la grinta e il coraggio di Magni. Con la sua scomparsa finisce un'epoca, della quale rimane unico testimone Ferdi Kbler, novantatreenne, che Magni non riuscì a raggiungere sul traguardo di Varese.
Vittorio Colombo
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