Ma di quale Capitale della Cultura stiamo parlando? Quella in cui se porti Sepulveda al Teatro della Società non puoi vendere i suoi libri nel foyer perché il regolamento lo vieta? Quella dove se vuoi pubblicizzare Leggermente, Immagimondo o il Premio Manzoni sei costretto a spendere un capitale in affissioni perché compare il logo di uno sponsor o di un partner privato? Quella dove se vuoi aprire un cinema - un cinema vero, non il cavallo di Troia di un altro centro commerciale - ti fanno passare sotto le forche caudine finché non te ne vai altrove?
Oggi, al massimo, Lecco può essere la capitale della Burocrazia Culturale. Perché le regole che ci sono vanno ovviamente rispettate, ma quando diventano addirittura antistoriche bisognerebbe pensare di cambiarle. Oppure più che amministratori si diventa curatori testamentari di un piccolo mondo immobile destinato all’estinzione.
Un operatore privato che avesse voglia di investire sulla cultura a Lecco dovrebbe quantomeno sentirsi ben accolto, essere messo in condizione di lavorare al meglio. Altrimenti - se la corsa è a ostacoli - punterà sempre su piazze più sicure e consolidate, dove il pubblico è di casa, gli spazi ampiamente collaudati e il rischio d’impresa decisamente minore.
La proposta di Lecco Capitale della Cultura lanciata da Paolo Panzeri - che per conto di Confcommercio ha inventato e fatto crescere Leggermente e che è uno dei pochi veri operatori culturali di questa città - è una provocazione intelligente per un territorio che sta cambiando pelle e non può più vivere solo di vergella. Paolo tante volte in questi anni ha dovuto fare i conti con le rigidità del sistema e sa quanta fatica si fa. Come lo sappiamo noi - questo giornale - che pure ha proposto e propone eventi culturali sul territorio trovando negli amministratori comunali e in tanti funzionari pubblici disponibilità e competenza.
Diamoci pure l’obiettivo di diventare Capitale della Cultura, se questo vuol dire mettere in circolo passioni e intelligenze. Ma vediamo di non perdere altri anni in chiacchiere. E’ notizia di ieri: mentre Lecco resta senza uno schermo (benemerito Palladium a parte), il Comune di Milano affitta un intero palazzo al cinema Anteo - una Mecca, per gli appassionati delle pellicole di qualità - che realizzerà ben dieci sale. E si tratta di affitto agevolato, perché produrre cultura non è come vendere smartphone o vestiti firmati, non è un’attività commerciale come le altre. Rende meno. Eppure qui in riva al Lario far passare questo concetto sembra molto difficile.
A proposito, sapete che a Palazzo delle Paure c’è la straordinaria mostra di Morlotti & C.? Perché se arrivate a Lecco non ve ne accorgerete, visto quanto costa appiccicare tre manifesti per pubblicizzarla. Come si è visto a Natale, il retro del Teatro della Società sarebbe uno straordinario schermo per annunciare gli eventi culturali alle migliaia di persone che ogni giorno entrano in città dal ponte Kennedy. Basterebbe rimontare un proiettore. Ma deve essere una cosa molto complicata.
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