Elio canta Jannacci: un vulcano al Sociale

Teatro Sala piena per lo spettacolo dello showman che ha interpretato i brani in veste cabarettistica

Il successo del cabaret al Teatro Sociale con “Ci vuole orecchio” del grande Elio. Il successo di GSmile che imperversa dal 2016 con la sua ventata di freschezza e di incontenibile gioia portata all’entusiasmo contagioso di giovani intraprendenti come Antonio Grimaldi e Daniele Ursini che si sono inventata una stagione del sorriso che fa bene al cuore e alla mente. «Che emozione ritrovarsi qui dopo 1000 giorni di astinenza. Grazie per la vostra fiducia e il vostro sostegno, come quello dei nostri sponsor».

Non è cultura da serie B

«Ci siete mancati e stasera con il nuovo sold out ci date lo slancio per confermare che il cabaret non è una cultura di serie B”, ha detto il presidente GSmile Grimaldi raggiante per la nuova incursione nel variety d’autore dopo Pucci, Pintus, Teocoli, Calà, i leggendari New Trolls e la PFM, il galvanizzante gospel, con un mattatore d’eccezione come Elio. E il funambolo della risata strappa un lungo applauso con la sua travolgente verve, accompagnato dalla sua scoppiettante band che fa faville ricordano che saltimbanchi si diventa e saltimbanchi si muore, perché è questa la legge del teatro.

Un vulcano in eruzione Elio che arringa la folla dal suo megafono rosso in cerca di un Jannacci redivivo attraverso i suoi capolavori al grido di “Vieni fuori, subito o cominciamo senza di te!”. E il trombone a tiro di Giulio Tullio e il sax morbidoso e accondiscendente di Sophia Tomelleri danno il La ad un primo monologo surreale sui tempi del mondo scenico che non finisce mai, per dar vita ad una sorprendente “Silvano” del genio irriverente jannacciano che gioca alla grande coi suoi versi sdruccioli “Amami, graffiami, sgonfiami, sdentami, stracciami, applicami” sulla storia di un amore impossibile.

Parole leggere

Parole che volano leggere nella storia dello stilista in preda ad un tormento interiore che si rivela infine solo frutto di un’insalata di mare, mentre un “cello bastardo” sdilinquisce tra roridi vibrati e graffianti nerbate. Ed Elio va in sollucchero in cerca del DDT che le ha rubato lei lasciandolo solo coi suoi tormenti suicidi inespressi o tra il clangore del traffico – grande slancio ritmico di Martino Malacrida - vittima di se stesso. Poi vaneggia sulla riscrittura del povero tassista Abele a cui Caino ruba le gomme mentre Adamo non c’è. Eccolo poi a disquisire sulla dolce Margherita tirando in ballo la strana epigrafe apparsa sui muri di Lambrate “Perché mi hai lasciato?”, col seguito “Lo sai perché” e il sorprendente finale dell’annichilimento storico del graffito con un “Forza Milan”. Surrealmente naif la luna di Jannacci come «una lampadina attaccata sul plafone mentre le stelle sembrano limoni».

Il contrabbasso

Con il pianista Seby Burgio a fare il diavolo a quattro in lungo e in largo con grande maestria arrotato dal contrabbasso slappato di Pietro Martinelli mentre Sophia e Giulio se la ridono di brutto tra terze spericolate. Esilarante la fiaba centimetropolitana dell’articolato in cerca di successo, tra fugaci apparizioni in Tv. Poi Elio svirgola di gusto sul tema della volgarità tra amene correzioni auliche di Eco sull’arte dell’ingiuria, prima di addentrarsi in un negozio di calzature con il sax lascivo di Sophia che assassina la voglia di comprare con il menestrello con le scarpe da tennis. Irresistibile la rapina in banca di un’improvvida mucca che prepara la via a “Faceva il palo nella banda dell’ortica”.

Atmosfera da night con quel “Dammi una sigaretta” che fa “sciopà”, prima di addentrarsi nell’underground della cucina esotica milanese tra carpacci di tricheco e barriti di trombone. Gran finale a sorpresa tra coriandoli che piovono dall’alto in quel “Vivere senza malinconia” che è un inno alla vita, pur dietro la maschera di un triste Pierrot.

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