Cronaca / Tirano e Alta valle
Giovedì 20 Luglio 2017
Dissesto e ricerca: «Quella frana segnò una svolta»
La comunità scientifica sull’alluvione: Da quell’evento grandi scoperte. «Esempio del ruolo chiave dei geomorfologi in Italia».
Anche la comunità scientifica si è interrogata su quell’enorme massa di detriti e fango che, il 28 luglio del 1987, in Val Pola, cancellò per sempre un paese, le sue frazioni, e cambiò la geografia di una vallata. Circa dieci anni dopo quella tragedia, la Regione Lombardia si dotò di un servizio geologico con oltre trenta geologi.
«L’evento della Valtellina - ha commentato Gilberto Pambianchi, presidente nazionale dei geomorfologi - segnò un momento importante per la gestione dell’emergenza relativa al rischio geologico in Italia. Nell’accumulo di frana che si staccò dal monte Zandila (da tutti meglio conosciuto come il Coppetto, ndr), trovarono enormi blocchi di detrito cementato da ghiaccio. Era la prova della fusione del ghiaccio all’interno di rocce già interessate da enormi frane. Ben dieci anni dopo la Lombardia si sarebbe dotata del servizio geologico».
Come ricordato anche martedì durante la commemorazione ad Aquilone in primis dal presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni, l’alluvione e la successiva frana del 1987 segnarono un momento importante relativamente al tema del dissesto idrogeologico. «La frana della Val Pola - afferma ancora Gilberto Pambianchi - è anche un esempio del ruolo che i geomorfologi possono avere nel nostro Paese. Già nel 1995 i geomorfologi segnalarono il possibile legame di questo catastrofico evento con il cambiamento climatico in quanto, nell’accumulo di frana, furono ritrovati enormi blocchi di detrito cementato da ghiaccio (permafrost) e si pensò quindi che la presenza del permafrost in un’area interessata da una enorme frana come quella del monte Zandila avesse avuto un ruolo determinante».
Da sottolineare che, a seguito della frana, i ricercatori arrivarono a scoperte importanti: «Anche sulla spinta di questo evento nel 1998 l’Unione Europea finanziò il progetto Pace (Permafrost and climate in Europe) - ha dichiarato Mauro Guglielmin, docente di geomorfologia presso l’università dell’Insubria - che portò ad alcuni progressi sul ruolo del permafrost e la stabilità dei versanti e sulle sue relazioni con il cambiamento del clima. Si scoprì così che il ghiaccio, se presente nelle fratture degli ammassi rocciosi, è ad una temperatura tra -2°C e -1°C è altamente instabile e che quindi non è necessario che il permafrost si degradi completamente per destabilizzare il versante. Ora, grazie all’azione di diversi ricercatori di AIGeo, si è migliorata la conoscenza sia della distribuzione che delle condizioni termiche del permafrost in Italia (che è quasi sempre proprio tra -2°C e 0°C) anche se negli ultimi tempi, dagli ambiti politici, la sensibilità è di nuovo diminuita e sicuramente necessita di un nuovo impulso prima che i cambiamenti climatici ricreino una nuova situazione di emergenza. Manca infatti - ha concluso - un piano nazionale sugli effetti del cambiamento climatico sulla stabilità dei versanti che solo i geomorfologi-geografi fisici possono affrontare a tutto tondo garantendo di passare da una emergenza ad una gestione e ad una prevenzione».
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