Depositi gasolio, sigilli anche alla Secam
«Ma la Procura ha già dissequestrato»
Anche la cisterna di Lovero dell’importante spa tra le verifiche effettuate dalla Gdf. Diversi i casi emersi e le responsabilità. A complicare il quadro le interpretazioni alla legge.
Anche il deposito di Lovero di Secam spa è finito nell’elenco delle cisterne sequestrate dalla Guardia di finanza, seppure per poco: «Per dodici ore, il tempo necessario per presentare istanza in Procura», precisa il direttore Andrea Mariani che ribadisce di avere in mano tutte le autorizzazioni. Anche altri si sono già lasciati alle spalle questa “disavventura”: Zafa, Bresesti, Sarotti, mentre altre aziende - come la storica Perego, ad esempio - e piccoli padroncini, dovranno lottare per dimostrare le loro ragioni. Quel che è certo è che la legge non ammette ignoranza. Tanto più se di mezzo ci sono agevolazioni fiscali e un decreto - il numero 277 del 2000 - che indica nero su bianco obblighi e prescrizioni per poter usufruire di agevolazioni fiscale sul gasolio destinato all’ autotrazione.
«Ma un conto è la legge e un conto sono le interpretazioni», sostengono oggi gli imprenditori - si parla di almeno 200 - che si sono visti sequestrare i depositi di gasolio e comminare pesanti sanzioni. I settori sono diversi: autotrasporto merci, trasporto di persone, industrie, edilizia, commercio all’ingrosso, tutti accumunati dalla necessità di disporre di una cisterna per rifornire i mezzi con cui lavorano.
«Punto primo non siamo in presenza di una maxi inchiesta - precisa il sostituto procuratore Stefano Latorre - ma di una serie di accertamenti che la Guardia di finanza sta facendo per controllare se i privati sono in regola con tutti i permessi», controlli più che giustificati visto che di mezzo ci sono delle agevolazioni fiscali riguardanti le accise sul carburante utilizzato dalle ditte.
Punto secondo: i rilievi evidenziati non sarebbero di natura penale ma “solo” amministrativa. Se infatti fino a qualche anno fa per quei depositi di gasolio era necessaria l’autorizzazione (“prevenzione e incendi”) da parte dei vigili del fuoco -senza la quale scattava la contestazione della detenzione di depositi di materiale esplodente (reato penale) - grazie al decreto 151 del 2011, è sufficiente aver presentato la Scia (Segnalazione Certificata di Inizio Attività ) per essere in regola sotto questo profilo, se il deposito ricade nella fascia di tipo “A”.
Se invece la cisterna è di tipo “B (con temperatura di infiammabilità più bassa) l’iter autorizzativo prevede la presentazione in caserma oltre che della Scia, anche di un progetto relativo al deposito. Eventuali controlli da parte dei pompieri vengono eseguiti a campione su un minimo del 5% delle pratiche presentate. Quindi basta aver presentato la Scia per essere in regola, questa, del resto, la rassicurazione che i funzionari del 115 hanno fatto alle decine di imprenditori che in queste ultime settimane hanno bussato in caserma per capire dove e come hanno sbagliato.
Punto terzo, le autorizzazioni comunali, ovvero la nota dolente: a quanto pare i proprietari dei depositi di carburante sono tenuti ad avere l’ok del Comune di residenza che deve garantire la titolarità del deposito (in virtù di una delega regionale) proprio per evitare che chiunque si possa mettere in casa una cisterna piena di gasolio.
Ebbene, il Comune rilascia un permesso”provvisorio” in attesa di convocare entro 180 una commissione per valutare la domanda. Dopo questo lasso di tempo l’autorizzazione diventa definitiva (per il principio del “silenzio assenso”), anche in assenza del collaudo.
Naturalmente il Comune è tenuto a trasmettere all’Agenzia delle dogane copia delle autorizzazioni rilasciate. Va però detto che l’Agenzia delle dogane (questo è emerso dal tavolo istituito in Prefettura) avrebbe accordato l’esenzione delle accise anche senza essere in possesso dell’autorizzazione del Comune.
La casistica emersa sino ad ora è davvero la più disparata:Comuni che avrebbero “perso” le autorizzazioni o archiviato male le pratiche (ma intanto ad andarci di mezzo sono gli imprenditori), altri che non hanno neppure convocato le commissioni, altri ancora che si sono dimenticati di darne comunicazione all’Agenzie delle dogane, ma ci sarebbero anche privati che non avrebbero seguito l’iter, mettendosi così in una posizione indifendibile.
In caso di mancata autorizzazione, scatta la sanzione amministrativa di 5mila euro (ridotta a 1/3, se il pagamento avviene entro 60 giorni). A ciò si aggiunge la sanzione accessoria della confisca dell’impianto e del carburante contenuto, che normalmente viene rivenduto a prezzo di mercato alla stessa ditta.
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