Cronaca / Sondrio e cintura
Mercoledì 22 Gennaio 2014
Delitto Brusio, la parola alla difesa
«È stato un delitto d’impeto»
In aula per un genetista, uno psichiatra e un esperto balistico
Contestato l’esame sul Dna: «Errata l’interpretazione»
La prova del Dna non sarebbe schiacciante, nessuna certezza sulle armi usate per la mattanza e l’unica cosa che emergerebbe chiaramente - analizzando la scena del crimine – è che quello che si è consumato a Zalende nel novembre del 2010 fu un delitto d’impeto, non quindi premeditato.
A queste conclusioni sono giunti i tre consulenti di cui si è avvalsa la difesa del moldavo Ruslan Cojocaru , ritenuto il presunto killer di Gabriella Plozza e Gianpiero Ferrari, i coniugi freddati nella loro azienda
L’avvocato Rossella Sclavi ha portato mercoledì in aula un medico legale esperto in Dna, un perito balistico e un criminologo per cercare di smantellare i tre punti cardine su cui si regge l’accusa che vuole il moldavo presunto esecutore materiale e il valtellinese Ezio Gatti (“orfano” dell’avvocato Carlo Taormina) presunto organizzatore del delitto.
Stando alla difesa, dunque, non si può affermare con certezza che il Dna rinvenuto sotto un’unghia di Gianpiero Ferrari appartenga a Cojocaru, né è dato risalire con altrettanta certezza al tipo di armi usate per freddare i due coniughi. Ed infine la scena del crimine - che denoterebbe improvvisazione e scarso controllo da parte del killer - non sarebbe compatibile con il profilo del moldavo, ex sergente di polizia addestrato ad usare le armi e a ad investigare in crimini.
Si è parlato anche di rogatoria, visto che l’ex autotrasportatore poschiavino – coindagato in Italia e Svizzera per omicidio e reati fiscali - non si è presentato in aula, nonostante la legge italiana garantisca l’incolumità a chi testimonia su fatti avvenuti prima della citazione. Verrà presto interrogato dall’autorità elvetica.
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