Deficit e conti La “sordina” del voto

Non si era davvero mai visto un Def, cioè un piano economico e finanziario del nuovo triennio, privo di tendenze programmatiche, pur rese obbligatorie da leggi proprie e comunitarie.

A tutto eravamo abituati, specie alle bugie pietose di numeri troppo belli per essere veri, e anche stavolta qualche numero bugiardo non è mancato, ma mai il silenzio sulle intenzioni.

Il motivo è confessato: ci sono le elezioni europee, e non bisogna turbare il sonno dei cittadini, che già dovrebbero pensare (ma lo fanno?) che per l’Europa - in un quadro globale da brividi, con due forse tre guerre in corso sotto casa - il voto di giugno è estremamente importante. Ripetiamo: estremamente. Ciononostante, vincerà anche stavolta l’astensione.

Dunque, aspettiamo la nuova Commissione e la fine che faranno estremisti di destra e populisti vari, filoputiniani inconsapevoli e filoputiniani convinti. A Bruxelles va bene così: rinviare, riparlarne. Tutti zitti persino sulla probabile procedura di infrazione dell’Italia per deficit eccessivo. Non sono cose che si dicono in campagna elettorale. Meglio prendere atto che il governo garantisce che manterrà l’esenzione di quest’anno sullo scudo fiscale e farà altri tagli dell’Irpef. Sono 20 miliardi almeno che mancano, ma se il Def non ne parla vuol dire che il problema non c’è. Anche a Bruxelles tengono famiglia. La stessa richiesta di rinviare le scadenze del Pnrr (solo 43 miliardi spesi su 194) è accolta con un “vedremo”.

Ma allora fidiamoci poco dei rari numeri presenti nel Def. Prendiamo la previsione del Pil 2024. Eravamo partiti con un +1,2% decisamente irrealistico, e infatti almeno in questo la correzione c’è: +1%. Peccato che la Banca d’Italia e il Fondo monetario, che non fanno elezioni, si fermino rispettivamente allo 0,6% e allo 0,7%, che sembrano piccoli scarti, ma sono uno la metà della previsione autunnale, e l’altro poco di più. Le controprove sono del resto inesorabili. Prendiamo il rapporto tra Pil e deficit. Se usiamo le bozze del Patto di stabilità europeo dovrebbe stare all’1,5%. Ebbene, per noi si parla di 4,3%, per poi scendere addirittura al 3% nel 2026: il doppio di quanto prescritto.

E il debito? Quello del 2026 sarà, dice il Def, in risalita, al 139,8% tra due anni. Un anno fa era dato in discesa di 62 miliardi rispetto a questa cifra. Ma viaggiamo ormai verso il traguardo dei 3mila miliardi e l’anno prossimo lo supereremo di slancio: per il 2026 saremo a 3.300. E se rifinanzieremo bonus ed incentivi introdotti in deficit quest’anno, il tendenziale non sarà nel 2025 al 3,7% ma al 4,6%. Qui, il Fmi è drastico. Le sue previsioni non sono quelle di galleggiare attorno al 139% come fa il Mef, ma si spinge fino a un 144,9% nel 2029. Il governo dà la colpa al Superbonus e per carità è vero che c’è un nome e cognome, Giuseppe Conte, dietro un’operazione sventolata nei comizi con l’avverbio gratuitamente alla maniera del peronismo argentino. Ma la firma sotto il provvedimento e soprattutto sotto la sua continuità, l’hanno messa tutti, anche la Lega che dimentica di aver fatto con Conte il governo del giustizialismo, della lotta ad inesistenti “taxi del mare” (sentenza dei giorni scorsi, costata milioni ai contribuenti), ma anche della sommatoria del populismo finanziario.

Il conto fa, tutto sommato, (almeno) 209 miliardi di bonus e dintorni (più altri 100 per calmierare le bollette). Del resto, se anziché ai temi adatti alla propaganda, ci dedicassimo alle cose serie, vedremmo che la Sanità si può salvare solo con i prestiti del Mes e che sta per andare fuori controllo la spesa previdenziale, che sale quest’anno del 5,9% e si avvia a mangiarsi il 15,5% del Pil.Non diciamo nulla della Difesa (tema molto attuale) perché qui la razionalizzazione dovrebbe essere europea. E con questo quadro non sarebbe allora il caso di prestare più attenzione a programmi e priorità delle elezioni europee, evitando di andare al mare l’8 e 9 giugno? Meditiamo…

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