Carriera, servizi, creatività L’italia non attrae i giovani

Mauro Magatti, sociologo ed economista dell’Università Cattolica, affronta il tema dei “cervelli in fuga” «I ragazzi vanno via non per desiderio di esplorare ma perché ciò che hanno qui è insoddisfacente»

«Nelle conclusioni del Rapporto Italia Generativa scriviamo che se in Italia un giovane fra i 20 e i 35 anni di età cerca di guardare al futuro per individuare le possibilità della propria vita, concludere di andarsene è razionale. E questo riflette la gravità della situazione dei giovani nel nostro Paese». Lo afferma Mauro Magatti, sociologo ed economista dell’Università Cattolica e direttore di Arc (Centre for the Anthropology of Religion and Generative Studies).

Tutti gli indicatori mostrano un’Italia decisamente incapace di trattenere i propri giovani, come mostrano sia i dati Istat aggiornati al 2021, sia il Rapporto di Fondazione Migrantes al 2022, fino ai dati più recenti che stanno alla base delle analisi del Rapporto Italia Generativa 2023 presentato lo scorso Marzo a Roma e curato da Arc dell’Università Cattolica in collaborazione con Fondazione Ifel e il sostegno di Fondazione Unipolis.

Professor Magatti, i dati ci dicono nel milione e 400mila persone che hanno lasciato l’Italia negli ultimi 20 anni, circa la metà è data da giovani. Perché va così da almeno due decenni?

In Italia si è accumulata una serie di svantaggi rispetto ad altri Paesi europei. Se ne vanno soprattutto le persone laureate e residenti nel Centro-Nord. Significa che le offerte in termini di carriera, stipendio, servizi per le nuove coppie, spazi di autonomia e creatività che il Paese offre sono scadenti, e le persone se ne vanno.

C’è anche una quota di quasi un quarto che espatria con età entro i 64 anni, più una quota intorno al 7% di chi lascia l’Italia e che ha anche oltre questa età. Di cosa è sintomo questo dato?

Naturalmente viviamo in un’epoca in cui per tante ragioni, personali o professionali, le persone si spostano. Emigrare non è mai facile, comporta un costo umano e quindi una quota torna indietro. L’altro dato da associare è che non è negativo che gli italiani vadano a fare esperienza all’estero, ma il tema è che pochissimi giovani europei vengono da noi a lavorare. È sintomo del fatto che l’Italia è statica, non è attrattiva, nelle imprese sono le generazioni più anziane a comandare lasciando pochissimo spazio ai giovani. E gli stipendi sono quel che sono a fronte di costi delle case inavvicinabili.

In quella parte di emigrazione data da persone con skill elevate c’è dunque anche un dato di vitalità da parte di chi espatria per migliorare le competenze e far crescere nuovi stimoli?

Sì, in linea di principio, pensando all’Europa, non sorprende che dei giovani laureati vadano a fare esperienza all’estero, ma la complessità del dato ci dice che tale positività è superata dagli aspetti problematici: i giovani vanno via non per desiderio di esplorare ma perché ciò che hanno in Italia è insoddisfacente.

E c’è anche chi ritorna: secondo l’Istat negli ultimi vent’anni gli italiani che sono tornati nel nostro Paese sono stati 810 mila, in media oltre 40 mila ogni anno. A fronte degli espatri, tra il 2002 e il 2021 l’Italia ha perso dunque circa 600 mila persone, in media 30 mila ogni anno. Per l’Italia continuano ad essere troppi?

Sì, soprattutto in un Paese come il nostro, che ha un enorme problema demografico. Mentre il mondo sta cambiando l’Italia, dopo 30 anni di non crescita, o si rende conto che se non si fa un patto inter generazionale per cui una quota dei soldi che stanno nelle tasche degli ultra cinquantenni vanno investiti con un piano straordinario su attività economiche reali che possano interessare i giovani oppure il Paese è destinato al declino. L’Italia è davanti a una scelta: o si rende conto della crisi che rende razionale che un giovane se ne vada oppure davanti abbiamo un declino definitivo. Non è un problema contingente, ma strutturale.

Si stima che la perdita netta del paese a causa della fuga dei cervelli ammonti a circa 14 miliardi di euro, equivalente a quasi 1 punto percentuale del Pil. Più i costi indiretti dati da perdita di persone con alte skill. Sembra che il fenomeno abbia già causato la mancata creazione di circa 80.000 imprese, con conseguenze sull’occupazione. Quanto possono essere pesanti gli effetti economici dell’espatrio di giovani?

Se a un laureato, come accade nelle nostre zone, si offre come primo stipendio un salario da 1.300-1.400 euro di cui mille se ne vanno per l’affitto di una casa da 50 metri quadri, è evidente che non sia possibile vivere e pensare al futuro. Tutto ciò è l’indicatore di una crisi: i ragazzi se ne vanno perché sono ragionevoli, vivono concretamente le difficoltà sulla loro pelle. A fronte di tanti giovani italiani istruiti che se ne vanno arrivano tanti giovani stranieri a bassa qualificazione, con tutte le conseguenze che ciò comporta. È importante avere la seguente percezione storica: dall’inizio degli anni Novanta l’Italia ha avuto tassi di crescita molto più bassi rispetto alla media europea. Il debito è arrivato al 140%, siamo maglia nera in senso demografico. E’ evidente che il Paese ha smesso di crescere. Da qualche anno il mondo è cambiato, non c’è più la globalizzazione che consentiva di tirare a campare e sono subentrati diversi problemi (la guerra, la crisi delle materie prime) accanto a delle opportunità quali lo sviluppo tecnologico e le iniziative per la sostenibilità.

Come voltare pagina?

È possibile farlo solo intervenendo, ma ciò significa fare un grande progetto Paese per re-indirizzare l’unica cosa che abbiamo: la ricchezza privata intorno ai 10mila miliardi, di cui almeno 1.300 sui depositi bancari degli ultra 50-60enni (circa il 40% più ricco). Una quota di tali risparmi va indirizzata per dare una spinta potente al rinnovamento del nostro sistema produttivo.

Bisogna fare un grande patto fra le generazioni, spiegando ai 60enni che se vogliono salvare le loro pensioni fra vent’anni bisogna far crescere il Paese nei prossimi dieci, altrimenti no nci sarà protezione per nessuno. Tutto ciò ha bisogno di una cornice politica che al momento mi sembra proprio che non ci sia. Soprattutto al centro-Nord la quota di risparmio privato, ancora rilevante in Italia, che viene investita in economia reale è bassissima. Le persone anziane pensano ad affittare case per le vacanze per garantirsi un buon reddito, così il Paese non andrà da nessuna parte: i giovani lo capiscono e se ne vanno.

Intanto a inizio 2024 è partita una stretta alle agevolazioni fiscali per gli impatriati.

Sì, perché lo Stato raschia il fondo del barile dovendo pagare 70 miliardi di interessi sul debito. E non abbiamo i soldi perché dobbiamo pagare le pensioni da una parte e i tassi di interesse dall’altra, due grandi appesantimenti che non consentono di investire sulla crescita e che penalizzano le nuove generazioni.

Per affrontare il problema dei giovani che se ne vanno serve un piano complessivo: così come i giovani africani lasciano i loro Paesi perché hanno la guerra in casa e sognano di stare bene, così i nostri lasciano l’Italia consapevoli che le possibilità non ci sono e immaginano di trovarne di superiori altrove.

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