Carovana dei ghiacciai, l’agonia del Fellaria

Una riflessione sullo stato di salute – decisamente non ottimale, purtroppo – dei nostri giganti bianchi e, soprattutto, «sui cambiamenti climatici e sugli effetti che hanno sulla montagna nel suo insieme». Nasce con questo proposito la “Carovana dei ghiacciai”, l’iniziativa di Legambiente giunta alla quinta edizione che nei giorni scorsi ha fatto tappa anche in provincia di Sondrio.

Stavolta l’osservato speciale è stato il ghiacciaio Fellaria, in alta Valmalenco, raggiunto venerdì dagli esperti del Comitato glaciologico italiano (Cgi) e del Servizio glaciologico lombardo (Sgl), nonché dai volontari dell’associazione ambientalista.

Ieri mattina al Mvsa la conferenza stampa conclusiva, introdotta da Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente e presidente di Cipra Italia, durante la quale sono state presentate le rilevazioni tracciate di recente proprio sul campo.

E, va detto, il quadro non è dei migliori. Anche perché, sebbene le precipitazioni – anche nevose – che hanno caratterizzato l’avvio di quest’anno non siano state esigue, le criticità relative al cambiamento climatico non sono certo diminuite.

Parola di Valter Maggi, presidente del Cgi, secondo cui «nonostante le nevicate molto abbondanti della primavera (la media riferita all’intera Lombardia risulta positiva del 74% rispetto agli ultimi vent’anni, ndr) il bilancio di massa del ghiacciaio Fellaria difficilmente sarà positivo», secondo una tendenza che «risulta essere in linea con quelli di molti altri ghiacciai dell’arco alpino».

«Il ritiro dei ghiacciai non si configura come situazione nuova nella storia. Certo è che, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, stiamo assistendo un’accelerazione di questo fenomeno». A tal punto che ormai «non sappiamo con precisione quanti siano effettivamente i ghiacciai in Italia, tra scomparse e frantumazioni».

Attenzione, poi, a un aspetto determinante, che riguarda in particolare gli ultimi decenni. «L’impatto dell’uomo sul cambiamento climatico – ha aggiunto Maggi – è una delle cause più importanti di questo ritiro: non lo dico io, è ciò che emerge leggendo la situazione su scala internazionale».

Al glaciologo Riccardo Scotti il compito di ricapitolare i rilievi portati avanti dal Servizio lombardo sul Fellaria, il terzo ghiacciaio lombardo per estensione dopo quello dell’Adamello e quello dei Forni. Nel complesso, considerando anche il settore svizzero del Palù, si parla attualmente di una superficie di 13 chilometri quadrati.

«A livello climatico, la temperatura registrata sulle Alpi è superiore di due gradi rispetto a quella dell’epoca preindustriale. E gli ultimi due anni sono stati di gran lunga quelli più caldi da quando si rilevano i dati», ha spiegato ieri.

A confronto con l’anno 1850, culmine della Piccola età glaciale, «è andato perduto il 46% di superficie del ghiacciaio di Fellaria-Palù»: un dato significativo, ma inferiore alla media globale, perché «si ha un bacino di accumulo, ossia la zona in cui si forma nuovo ghiaccio, a quote molto elevate», da 3.500 a 3.800 metri. Ciò fa del gigante bianco in questione «un ghiacciaio più complesso, sì, ma anche più resiliente rispetto a quelli che ha intorno».

A detta di Scotti, peraltro, non tutto è perduto per i ghiacciai delle Alpi. «Fortunatamente, c’è ancora margine. Se riuscissimo a contenere le emissioni di gas serra – e, di conseguenza, le temperature – potremo osservare che i ghiacciai di Fellaria e dei Forni, pur continuando a perdere volumi, riusciranno a un certo punto a stabilizzarsi e conservare una superficie di ghiaccio consistente sopra i 3.500 metri di quota».

Il contributo del filosofo Matteo Oreggioni, sempre del Servizio glaciologico lombardo, ha permesso poi di ragionare sulla complessità dei fenomeni. «Tutta la partita si gioca sulla questione del rischio: i dati scientifici ci mostrano degli scenari, che dipendono dalle nostre azioni. Il nostro destino, dunque, dipenderà dalle nostre scelte».

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