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Martedì 10 Aprile 2012
Carlo e la signorina Antonia
Ferrario così ricorda la Pozzi
Il musicologo Ferrario, a sei anni, incontrò la poetessa: la sua famiglia risiedeva, all'epoca, a Introbio, in Valsassina e conosceva i genitori della giovane intellettuale, morta a soli 26 anni, di cui ricorre il centenario dalla nascita. Una storia che non si legge nelle biografie della poetessa, un piccolo cameo di grande intensità, raccontato dall'italianista Vincenzo Guarracino.
«In un giorno di giugno / (io avevo sei anni)...». Una precisazione cronologica, questa, singolare e tale da dover incuriosire non poco, posta com'è proprio all'inizio di un "romanzo in versi", edito qualche anno fa (nel 2008) da NodoLibri e intitolato "Paganus", in cui "more poetico" si racconta la storia di una "educazione sentimentale". Una vera e propria iniziazione alla vita sul teatro di un'età aurea, che, spopolata di miti e di portenti, si avvia ad un tempo grigio di rovine e di violenza.
Protagonista e autore di siffatta storia ovviamente si identificano: si tratta di un tal Carlo Ferrario, familiarmente denominato allora "Carluccio", residente in una sorta di Valle dell'Eden, in quel di Introbio, un luogo dove possono intervenire a turbare i giorni anche i presagi di una guerra e la morte, fermo restando che è ancora la fine di una giornata di giochi a diventare il principale motivo «di malinconia», come accade solo nel beato mondo dell'infanzia.
Una storia in versi di fiabesca lievità in cui la vita (luoghi, fatti, persone) vengono raccontati e miticamente trasfigurati attraverso gli occhi di un bambino, immerso in uno scenario incantato e intento a guardarsi intorno con stupore e benedicente ammirazione: versi, almeno all'inizio, di sensazioni delicate, incrostati intorno a una data, giugno 1937, in cui qualcosa di essenziale deve essere capitato al "seienne" protagonista, anche se di primo acchito non è dato di sapere che cosa.
Non è il caso qui di raccontare cosa c'è in questo "romanzo in versi", che è più complesso di quanto potrebbe a prima vista apparire. Quello che qui importa è la presenza di quella data, "giugno 1937". Perché un siffatto scrupolo di determinazione cronologica? Come non pensare che una tale pignoleria sia tutt'altro che casuale e richieda un'attenzione non superficiale, chiamando in causa motivi dell'autore ben più profondi di quanto possa apparire? In altri termini, come accade ogni qualvolta si mette in gioco un momento preciso e puntuale attraverso una data, si vuole sottolineare che l'evento assume un carattere nuovo e diverso, come un momento su cui il soggetto costituisce una privata mitologia, trasformandolo in un qualcosa da cui la sua vita acquista un altro senso e significato: uno spazio cronologico di ordine ieratico (l'avrebbe chiamato così Roland Barthes), fondativo, meritevole di speciale considerazione e destinato nel tempo ad agire con forza ipnotica sulla coscienza, in grado anche inconsapevolmente di determinare uno sguardo e un comportamento diversi.
Ma che cosa era realmente successo in quel giorno di giugno di un lontano 1937, tale da dare al giovanissimo protagonista l'idea di un cambiamento, di un passaggio quasi epocale da un'età dell'incoscienza infantile a un'età della ragione e della responsabilità? Me l'ero chiesto quando avevo letto per la prima volta quel testo ma senza darmene all'epoca contezza. Poi, improvvisamente, come un'illuminazione, mi è parso di "comprenderne" il motivo alla luce di un'altra pagina dell'autore contenuta in "Alfabeto comasco" (1989), ben precedente al passo in questione di "Paganus": una pagina inscritta sotto la voce "Poeti". Leggiamo cosa dice a pagina 84: «Di poeti se ne trovano ad ogni angolo… ma a me basterà ricordare due incontri. Da piccolo ero incantato all'idea di poter vedere da vicino un esemplare in carne e ossa di questa magica stirpe: si trattava di Antonia Pozzi, che villeggiava in Valsassina e che da sempre conosceva i miei. Non avevo allora nessuno strumento valutativo, ma sapevo che la signorina Antonia scriveva poesie, e questo mi bastava per guardarla come se fosse stata una dea… Una fotografia scattata nel suo giardino coglie un po' di quel mio stupore...».
Allude a questo evento la data di cui prima (per inciso, il secondo è con il poeta inglese Auden? Io credo di sì). A fare un rapido calcolo (Carlo Ferrario nato nel 1931 e Antonia Pozzi tragicamente scomparsa nel '38), i conti tornano: la data della foto potrebbe essere stata l'ultima primavera-estate della poetessa, il '37 appunto, e il "seienne" io di "Paganus" potrebbe averne riportato, alla luce soprattutto di quello che poi si è saputo della "signorina Antonia", un'emozione incancellabile, tale da diventare un evento fondante e formativo della sua esperienza. Certo, non è evento da poter trovare registrato nelle biografie della poetessa (pregevoli biografie come la recente di Graziella Bernabò, edita da Àncora) e neppure degna di più puntuali ricostruzioni (alla maniera per intendervi dell'aureo "Soltanto in sogno", con foto e lettere, a cura di G. Sandrini, edito da Alba Pratalia, 2011), ma è certo un ricordo, da conservare gelosamente: un qualcosa che Carlo Ferrario affida alla sua privata mitografia e che ci consegna come un mirabile cammeo.
(* Italianista e poeta)
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