Guardate la foto qui a lato: tre giovani profughi seduti sui gradini del vecchio tribunale e alle loro spalle, beffarda, quella scritta “Benvenuti a Lecco” in più lingue, arabo compreso.
A volte uno scatto - come questo del nostro Guglielmo De Vita - racconta tutta la storia senza bisogno di altre parole. Eppure stavolta qualcuna bisogna pur spenderla, perché quello che sta accadendo è tragicamente paradossale. Quei migranti - chiamateli profughi o chiamateli pure “clandestini” se il cuore vi batte sotto una camicia verde - semplicemente non esistono. Perché sono arrivati dal Pakistan via terra attraverso le rotte dell’Est e non con i barconi che tante volte finiscono in fondo al Mediterraneo. Non sono entrati negli ingranaggi della macchina dell’accoglienza, non sono stati assegnati in quota a Lecco e allora sono ridotti al rango di fantasmi.
Sono lì, sotto gli occhi di tutti, nel pieno centro di Lecco, eppure sembrano invisibili. E lo sono nel fatti, per le autorità, perché si è pragmaticamente deciso che non c’è più spazio, che già le strutture fanno fatica ad accogliere i profughi censiti, con i sindaci che protestano e i politici che ci sguazzano: meglio non esasperare ulteriormente gli animi. Dunque, restino lì sui gradini, in un inverno magari più mite del solito ma dove dormire all’addiaccio non deve essere una passeggiata.
Tace il Comune, dove pure c’è una maggioranza di centrosinistra che dovrebbe avere - e ce l’avrà pure, ma in sonno - la solidarietà nel proprio Dna. Tace la destra, anche perché chiedere di smantellare l’accampamento che fa bella mostra di sé in pieno centro sarebbe come aprire ai pakistani le porte del campo profughi al Bione, quello che invece Carroccio e destra hanno chiesto con forza al prefetto di smantellare.
Noi, i cittadini, oscilliamo tra la compassione e il fastidio per quel desolante spettacolo quotidianamente in scena. Rare signore premurose portano loro da mangiare, gli agenti della polizia locale li rifocillano con qualche cartone di pizza. I più passano e si voltano dall’altra parte magari mugugnando tra i denti un “dove andremo a finire?”.
Abbiamo la soluzione in tasca? No. Siamo “buonisti” in servizio permanente effettivo? No. Sappiamo anche bene che non è possibile accogliere tutti e che su questa gigantesca tratta di essere umani tanti, troppi speculano, anche dentro i confini del Belpaese. Ma diciamo che non si può tacere sul silenzioso braccio di ferro istituzionale che costringe quei poveracci a passare le notti al gelo. Non si può.
Tutto, ma non l’indifferenza. Troviamo loro un tetto, fosse pure di fortuna. Ma se proprio devono rimanere lì, all’Hotel Vecchio Tribunale, qualcuno tolga almeno quel “Benvenuti” alle loro spalle. Perché evoca altre scritte, tragicamente beffarde.
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