Band: «Collapse into now»
l'ultimo capitolo dei R.E.M.?

R.E.M. al collasso? Parrebbe proprio di sì, almeno giudicando l'ultima opera della band americana dal titolo e dalla copertina. “Collapse into now”, pare suggerito da Patti Smith, ospite di lusso (ormai è un'abitudine) sarebbe sufficientemente esemplificativo di per sé ma l'immagine dei tre, che sembrano zombie da un qualche Oltretomba, con Stipe che saluta pare inequivocabile

a.cavalcanti

COMO R.E.M. al collasso? Parrebbe proprio di sì, almeno giudicando l'ultima opera della band americana dal titolo e dalla copertina. “Collapse into now”, pare suggerito da Patti Smith, ospite di lusso (ormai è un'abitudine) sarebbe sufficientemente esemplificativo di per sé ma l'immagine dei tre, che sembrano zombie da un qualche Oltretomba, con Stipe che saluta pare inequivocabile. Tagliato l'invidiabile traguardo dei trent'anni di attività, almeno due grandi capolavori alle spalle (l'esordio “Murmur” che ha posto la pietra di paragone per tutti i lavori a venire e l'incredibile “Automatic for the people”) per non contare i dischi “solo” bellissimi, da qualche tempo, da qualche album, sembrano non avere più le idee così chiare. Hanno preso tempo con un paio di dischi dal vivo, hanno riscattato la pallida prova di “Around the sun” con un “Accelerate” giusto un po' più vario ma l'impressione, inutile negarlo, è che dall'uscita del batterista Bill Berry, una scelta che ha quasi disintegrato i R.E.M., Stipe, Buck e Mills non abbiamo mai completamente riagguantato il bandolo della matassa alternando una serie di canzoni poco ispirate a piccoli guizzi di genio. La triade iniziale “Discoverer”, “All the best” e “Uberlin” (che richiama tantissimo “Drive”) non dice niente di nuovo, “Oh my heart” e “It happened today” - in questa è ospite Eddie Vedder - sembrano scarti di “Out of time”, per ascoltare qualcosa di (parzialmente) inaudito si deve arrivare a “Everyday is yours to win” che assomiglia a così tante cose belle che è difficile non apprezzarla. “Mine smell like honey” sembra piazzata a metà per risvegliare l'ascoltatore con una modesta iniezione di elettricità e insinuando un dubbio (le tue “profumano di miele”, Michael?). Al contrario l'acustica “Walk it back” funziona grazie a una melodia accattivante, proprio quella che manca ad “Alligator_aviator_autopilot_antimatter” che non va oltre il titolo divertente, stessa cosa per “Someone is you” mentre “Me, Marlon Brando, Marlon Brando and I” potrebbe, sì, discendere da “Automatic”. Sono finiti i R.E.M.? Se è vero, perché loro stessi sembrano stanchi e questo quindicesimo CD potrebbe rappresentare un eccellente momento per defilarsi prima che inizi il declino, quello vero (perché il disco è comunque a livelli buoni: è solo che da loro ci si aspetta sempre di più). Se così fosse il congedo si chiama “Blue”, uno strano brano introdotto da un parlato inintelligibile che si stempera nella voce, inconfondibile, di Patti Smith. Quasi nessuno riesce a seguire la “regola di Neil Young” “Meglio bruciare in fretta piuttosto che arrugginire lentamente”, neppure lo stesso Neil Young. Se i tre avessero mollato il colpo quando sono rimasti in tre il loro ruolo, la loro importanza, l'influenza sulla musica di questi trent'anni non diminuirebbero minimamente.
“Collapse into now” non è il primo disco brutto del gruppo, anzi, tecnicamente è discreto, comunque vale l'ascolto anche se è difficile innamorarsene: però è il primo realizzato con il pilota automatico, dove il dovere sembra prevalere pericolosamente sul piacere, dove tutti sembrano pensare ad altro (e se te ne accorgi da un pugno di canzoni vuol dire che quel pensiero è fortissimo). Chissà, forse la storia ci darà torto ma it's the end of the R.E.M. as we know it?
Alessio Brunialti

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Lunedì 28 Marzo 2011

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