Banche, l’Europa che non fa squadra

L’acquisto del 9% della tedesca Commerzbank da parte di UniCredit fa risvegliare mai sopiti riflessi nazionalistici. Deutsche Bank si mette di traverso e valuta di far proprio il 12% del pacchetto azionario attualmente detenuto dallo Stato tedesco.

Non è detto che ci riesca perché Andrea Orcel, amministratore delegato di UniCredit, conta sull’appoggio dei socialdemocratici della Spd e dei Verdi della coalizione di governo. Solo i liberali sono sensibili alle sirene dell’ordoliberismo autoctono. Deutsche Bank è reduce nel 2023 da un crollo in Borsa con una perdita di 1,7 miliardi di capitalizzazione. Si è ripresa ma non sprizza di salute come UniCredit che vanta riserve in liquidità per 12 miliardi. A Berlino lo sanno e non vogliono creare un altro mastodonte bancario che poi deve chiedere aiuto di nuovo allo Stato. Sia la Bce che la Commissione vedono di buon occhio un processo di aggregazione europeo transnazionale, ma questo non placa ritorni di fiamma nazionalistici.

Già si alzano le voci che dicono no agli italiani. I sindacati Verdi in prima fila ritengono una fusione con una banca francese più rassicurante. Bnp Paribas è discretamente alla finestra e certamente gradirebbe. Non va dimenticato che il presidente del consiglio di sorveglianza di Commerzbank è Jens Weidmann, l’ex governatore di Bundesbank che fece guerra ininterrotta a Mario Draghi nel board della Banca centrale europea. È nota la sua scarsa considerazione per tutto ciò che suoni europeo al di fuori dell’asse magico Parigi-Berlino. Del resto tutti sanno che per provocare l’ira del ministro delle Finanze tedesco, il liberale Christian Lindner, basta un solo nome: Mario Draghi. La richiesta dell’ex presidente Bce di dotare l’Unione europa di investimenti annuali pubblici e privati nell’ordine di circa 800 miliardi annui è percepita come eretica.

Il vincolo di bilancio rimane la stella polare dei circoli del partito liberale e dei conservatori. La maggioranza degli elettori vede nel debito comune europeo uno strumento per costringere la Germania a far da garante ai Paesi ritenuti inaffidabili. È nel nome dell’austerità che la Cdu cerca di recuperare i voti dei delusi passati ai populisti di AfD. Una ripetizione del miracolo economico degli anni ’50 nel nome delle proverbiali virtù tedesche: serietà, precisione, risparmio, spartanità al servizio del bene comune. Con il che si intende far barriera a tutto ciò che tedesco non è, in primo luogo alla migrazione. Una percezione che in Germania è presente fin dai tempi dei “Gastarbeiter!, per lo più italiani che lavoravano per le grandi industrie tedesche. Forza lavoro indispensabile per lo sviluppo tedesco e con il grande vantaggio di stare a tempo determinato, cioè destinati a tornare da dove erano venuti.

Questa abitudine a vedere l’italiano in veste di prenditore di lavoro e non di imprenditore porta a pensare che ogni azione italiana che ambisca a esportare un modello produttivo anche vincente sia non conforme agli interessi tedeschi.È stato così con la Fiat di Marchionne e il fallito acquisto di Opel. E prima ancora con Pirelli, emarginata nel tentativo di acquisire Continental.

Il rafforzamento del sistema bancario europeo è la premessa per dare slancio al mercato finanziario europeo. E poiché l’ultimo arrivato deve pagar dazio, già si parla di compensazione. Se l’acquisizione di Andrea Orcel in terra tedesca dovesse andare in porto, allora i francesi, esclusi dal boccone Commerzbank, avranno diritto a rifarsi. Crédit Agricole è già sulle tracce di Banco Bpm. La finanza francese in Italia si rinforzerebbe senza obbligo di reciprocità. I francesi infatti non amano la presenza straniera in casa loro. La miseria europea è infatti tutta lì: l’incapacità di fare squadra.

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