Un ambulatorio che, attivato nell’ottobre 2008, si era reso necessario a seguito dell’incremento di casi di tubercolosi, soprattutto nelle aree metropolitane: “Si tratta di un aumento –spiega Gori- che abbiamo potuto constatare soprattutto negli ultimi due anni e che ci ha spinto a pensare a un ambulatorio. Ci preoccupa però ancora il fatto che a farsi curare sono sempre i casi più gravi, i pazienti più complessi”. Significa, quindi, che esiste un sommerso. Che i pazienti visitati dai medici del San Gerardo sono solo la punta dell’iceberg che alla sua base presenta numerosi malati che invece non si curano. O si fanno curare quando è troppo tardi. Troppo tardi per loro e per chi sta loro vicino. “La tubercolosi –prosegue il primario- è una malattia che si diffonde per via aerea e con più facilità dove c’è scarsa igiene, dove c’è scarso accesso alle cure sanitarie, dove le condizioni socioeconomiche sono precarie, dove ci sono già altre malattie in corso che abbassano le difese immunitarie: una su tutte, l’infezione da Hiv”.
E’ facile quindi che si diffonda in particolare tra gli extracomunitari. Che non si ammalano in Africa, in Sudamerica, in Cina, in Pakistan, nell’Europa orientale (non esistono etnie più o meno colpite). Ma si ammalano qui. O meglio: qui, a causa delle condizioni di vita precarie, si riattiva una malattia latente. Che non si riattiverebbe se le condizioni di vita fossero differenti. Ma che, una volta diagnosticata, dovrebbe essere subito curata: “Sarebbe una buona cosa –conclude Gori- che, magari insieme all’Asl, si studiasse un ambulatorio di prima accoglienza per immigrati, anche per quanti non sono in regola. Solo così potremmo evitare il diffondersi del contagio”. D’altra parte il reparto di malattie infettive del San Gerardo è il punto di raccolta per tutti i casi sospetti presenti sul territorio brianzolo in quanto attrezzato per garantire l’isolamento assoluto: “La diagnosi precoce –aggiunge Lapadula- e l’identificazione dei gruppi più a rischio restano comunque i due metodi più efficaci per far prevenzione, insieme al miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie”.
Ma se gli immigrati malati di tubercolosi sono soprattutto giovani, tra gli italiani è una malattia che colpisce gli anziani, soprattutto se già affetti da patologie debilitanti: “Al contrario di quanto si pensi comunemente –conclude Lapadula- la tubercolosi non è mai scomparsa. Dalla seconda rivoluzione industriale in poi ha seguito l’uomo nelle concentrazioni urbane e, soprattutto dagli anni Ottanta, ha preso di mira non tanto gli immigrati quanto i pazienti immuno-depressi, con malattie di base quali il diabete, le cirrosi e più in generale i gruppi fragili”.
Elena Lampugnani
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