Cronaca / Sondrio e cintura
Mercoledì 02 Dicembre 2015
«Accoglienza, la rete c’è e funziona»
Nell’incontro organizzato a Sondrio la Caritas ha spiegato il difficile compito dell’integrazione. «Tanti bisogni e tanta burocrazia - Arrivano in gruppi di 5 o 7 persone ogni settimana e siamo arrivati a quota 540».
L’acqua? Non vogliono berla perché credono di morire, come succede nei loro Paesi. Scarpe e giacconi? È difficile farglieli indossare perché non lo hanno mai fatto. Bisogna abituarli a lavarsi ed anche al concetto del tempo: noi siamo sempre di fretta, i ragazzi che vengono da Paesi lontani la prendono con tranquillità e se si dà a loro appuntamento alle 8, arrivano un’ora dopo.
Ha proposto una visione dal punto di vista “umano” e d’integrazione reciproca Monia Copes, responsabile per la Caritas dell’accoglienza dei profughi in provincia, all’incontro promosso dagli Amici della biblioteca di Sondrio nel ciclo di conferenze dal titolo “Migrare” . La Caritas, infatti, si occupa dell’azione di accoglienza dei richiedenti asilo, di informazione a gruppi specifici, nelle comunità e nelle scuole medie e superiori, propone animazione nelle parrocchie, gestisce direttamente otto strutture. Di fronte a questa emergenza emigrazione, in rete con Croce Rossa e Questura con il coordinamento della Prefettura, è attiva sul territorio tutti i giorni.
«La Caritas ha investito parte dei contributi ricevuti per l’assunzione di giovani che sono impiegati in questo tipo di servizio per ovviare al problema della disoccupazione in provincia – ha esordito -. Al 28 ottobre i migranti erano 522 a fronte di 820 persone arrivate. La differenza è data da chi ha ottenuto un permesso regalare e se n’è andato e quelli che sono arrivati e sono immediatamente scappati. Oggi il numero è salito a 540 arrivi, costanti nel corso delle settimane. Arrivano in gruppi di cinque o sette persone, numeri bassi che permettono di organizzarsi nell’accoglienza, anche se dall’altra parte significa che ci sono persone sempre impegnate per questo. Rispetto ad altre realtà, la nostra è una delle poche province con molte strutture alberghiere (nove fra cui l’Istituto don Folci che si è da poco inserito) che accolgono i migranti, proprio perché sono stati gli alberghi gli unici ad aver dato inizialmente la disponibilità, a differenza di Comuni e parrocchie».
«Abbiamo otto strutture come Caritas e 11 strutture abitative - ha spiegato - con un massimo di venti persone gestite da associazioni o cooperative che non rientrano nella convenzione con Caritas. Nonostante ciò, abbiamo creato una rete perché l’accoglienza in provincia abbia un linguaggio comune». La convenzione chiede di dare ai migranti vitto e alloggio in strutture idonee, una mediazione linguistica (parlano inglese, francese, arabo, qualcuno analfabeta parla solo i dialetti africani), una mediazione sanitaria e culturale affinché capiscono il nostro modo di vivere. Deve essere a loro garantita la scuola. Inoltre nei primi due mesi i profughi non possono lavorare.
«Quando arrivano i migranti vengono dichiarati “richiedenti asilo politico” - ha proseguito Copes -. Ciò vuol dire che devono iniziare un percorso prima che vengano giudicati da una commissione specifica a Milano che, dopo aver fatto verifiche nel Paese di origine e averli sentiti, decide se hanno diritto all’asilo. Abbiamo una sola persona che, in provincia, ha trovato lavoro con un contratto a tempo indeterminato: è un ragazzo del Mali che parla italiano ed è arrivato nell’aprile del 2014. Gran parte del tempo con loro è impiegato a spiegare cosa li aspetta in Italia e per prepararli alla commissone. Ci sono tre tipi di protezione: protezione per motivi umanitari con permesso valido due anni, protezione sussidiaria con permesso valido per cinque anni o l’asilo politico valido per sempre. Se la commissione dice di no, il richiedente fa ricorso al tribunale di Milano che dura un anno; se l’esito è ancora negativo a quel punto c’è appello per un altro anno. I tempi “burocratici” sono molti lunghi e se ciò ci permette di prepararli, dall’altro canto crea in loro delusione».
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