Parole di Letta al convegno di confindustria: «Aboliremo il finanziamento ai partiti, aboliremo le provincie, ridurremo il numero dei parlamentari, la politica deve recuperare credibilità con la capacità di essere "austera"; forse troppo tardi, ma abbiamo capito la lezione». Parole di Squinzi allo stesso convegno: «Il nord è sull'orlo di un baratro economico che trascinerebbe il paese indietro di mezzo secolo». C'è una abissale differenza, Squinzi parla al presente, Letta parla al futuro. Come sempre: faremo. Sono vent'anni che questi politici dicono faremo, non hanno mai fatto e non faranno mai, non è nel loro Dna.
Gianfranco Longhi
I verbi al fututo dei governanti (dei leader di destra e di sinistra) si ripercuotono sul presente elettorale. Il tonfo della partecipazione alle amministrative è l'ultimo d'una serie di gravi segnali di disaffezione. E ormai non c'è partito che non ne paghi le conseguenze, anche gli ultimi arrivati. Anche quelli che si definiscono movimenti e non partiti. Per il governo Letta l'ulteriore allarme può tuttavia rivelarsi un beneficio anziché un danno. Il crescere dell'astensionismo impone infatti il ricorso a urgenti misure di riforma. A cominciare proprio dalla legge elettorale, per passare al resto che si conosce: il taglio dei costi della politica, lo snellimento delle infinite macchine di potere, l'abolizione di privilegi, sprechi eccetera. E poi interventi (pochi, mirati, non parolaio-populistici) per razionalizzare questo Paese così irrazionale e riportare un minimo d'eguaglianza dove regna il massimo del contrario. Perché, purtroppo, continuano ad esserci cittadini puniti e cittadini premiati.
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