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Mercoledì 17 Aprile 2013
Sondrio, le bombe a Boston
sui nostri amici atleti
Numerosi atleti sondriesi avevano proprio a Boston amici o colleghi impegnati a vario titolo nella corsa di 42,195 chilometri più antica del mondo: in ogni caso, per tutti la sensazione è stata quella di immedesimarsi con i presenti sulla linea d'arrivo al momento degli attentati
SONDRIONessun maratoneta sondriese ha corso quest'anno la maratona di Boston, ma è come se i podisti del capoluogo fossero presenti sulle strade della località dell'Est degli Stati Uniti.
Alcuni di loro, infatti, avevano proprio a Boston amici o colleghi impegnati a vario titolo nella corsa di 42,195 chilometri più antica del mondo: in ogni caso, per tutti la sensazione è stata quella di immedesimarsi con i presenti sulla linea d'arrivo al momento degli attentati: perché, in fondo, quei corridori o quelle persone tra il pubblico avrebbero potuto tranquillamente essere loro.
«È un gesto davvero vile - ha commentato Michele Rigamonti, imprenditore sondriese nonché maratoneta di ottimo livello - e non ci sono parole per descrivere e definire chi l'ha compiuto. Sono rimasto shoccato e mi sono venute le lacrime agli occhi. Alcuni amici erano a Boston a correre la maratona, per fortuna li ho sentiti e stanno tutti bene». «Era una giornata di festa - ha fatto eco Giorgio Gemmi, ex presidente del 2002 Marathon club di Sondrio - rovinata da un gesto vile e inspiegabile. Chi fa sport è per definizione contro la violenza e la guerra e molti che corrono le maratone lo fanno per associazioni di beneficienza o in difesa dei diritti umani».
Oltre lo smarrimento e l'amarezza, iniziano a farsi strada le prime idee su quanto è accaduto lunedì a Boston: «Non soltanto i responsabili degli attentati - ha puntualizzato Michele Rigamonti - li hanno organizzati con cura, ma purtroppo si sono dimostrati anche "esperti" della maratona. Le bombe sono esplose dopo quattro ore, il momento di maggior afflusso dei maratoneti. E poi, perché Boston e non, ad esempio, New York? Boston è una maratona molto più americana, rispetto a New York dove ci sono più corridori internazionali e quindi credo che i responsabili volessero colpire soprattutto l'America». Giorgio Gemmi è ancora più duro di Rigamonti: «A mio parere qualcuno sapeva ed era già stato avvisato dell'attentato. - ha ipotizzato Gemmi - C'erano fin troppi poliziotti per un evento normale. Si è voluto sfruttare l'effetto mediatico per lanciare un messaggio che a noi è ancora poco chiaro: si è trattato, forse, di un evento costruito e scenografico. Con una quantità maggiore di esplosivo si sarebbe verificata una strage, sarebbero caduti i palazzi e i morti sarebbero stati molti di più. Resta il fatto che ora per i maratoneti sarà assurdo il pensiero di correre con il rischio di avere una bomba sotto i piedi».
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