Viaggio in città tra code e cantieri

Complice un ginocchio malandato (esito di traumi calcistici, cadute maldestre, cartilagini vecchiotte) ad ogni passo mi allontano da Achille e mi avvicino alla tartaruga. Insomma mi sono sincronizzato sul ritmo delle auto incastrate nel traffico cittadino. Mi sono informato sulla mappa dei lavori in corso, ma prima di entrare nel vivo della questione, concedetemi di raccontarvi un episodio, capitatomi di fresco, che la dice lunga sulla velocità alla quale lecchesi e foresti sono costretti ad attraversare le strade del territorio urbano ad ogni ora del dí. Ma anche di notte non deve essere una passeggiata districarsi nella gimkana di rotonde, sensi vietati, semafori, lavori in corso e gli inevitabili scavi del teleriscaldamento. Ebbene, procedendo lungo viale della Costituzione, all’altezza del fu Cinema Nuovo, mi sento chiamare dal guidatore di una vettura che procedeva a passo d’uomo acciaccato. “Ciao Calvetti, come va? Ti vedo ancora in TV e ti leggo sulla Provincia. Sei sempre forte e fai bene a tenerti in forma. Alla nostra etá è fondamentale non lasciarsi andare. Io faccio il nonno a tempo pieno ed è più impegnativo di quando lavoravo”.

Messo a fuoco chi fosse (un compagno di scuola delle medie riconosciuto più dalla voce che dalla fisionomia), ne è nato un gradevole amarcord in corsa, che si è concluso mezz’ora dopo in Corso Martiri, all’incrocio con via Amendola, quella che porta al ponte Vecchio, laddove un semaforo sempre rosso simboleggiava che entrare e uscire da Lecco è come varcare le porte dell’Inferno.

Il colmo della storiella di ordinaria e cittadina transumanza veicolare è che è toccato a me aspettarlo, perché procedeva a singhiozzo e condiva i ricordi con imprecazioni e sentenze definitive sull’amministrazione e la politica in genere.

Non so se desiderasse più il conforto di un vigile, fauna rara nella giungla d’asfalto, o di un sacerdote che lo assolvesse in flagranza di bestemmia.

Del resto, da tre anni la città è invasa dagli ormai noti new Jersey, sparsi e biancorosseggianti sul pendio, come le ville di manzoniana memoria. Mi dicono pure che talvolta si stufano dell’inerzia e decidono di viaggiare lungo il manto stradale, giusto perché qualcuno si è dimenticato di riempirli di acqua e lasciarli ancorati al suolo. Ma tant’è, l’acqua talvolta evapora, come i grandi proclami.

Nel frattempo, complici i rattoppi della fibra e gli scavi del teleriscaldamento, ci si muove (o meglio, non ci si muove) in città con lo stesso passo di un Mario Cipollini, re delle volate, in salita. Spesso, pur con il mio passo cadenzato, mi sembra di essere come Abdon Pamich, l’ex marciatore italiano campione olimpionico, quando con passo faticoso superò le auto incolonnate e ferme.

Degli improperi degli automobilisti verso le strade, l’amministrazione e la sorte, meglio che io non riferisca. Via Parini, via Fiandra, via Belfiore, il lungolago, Viale Costituzione, Corso Martiri, corso Filiberto, via Matteotti, via Ongania, viale Tonale e viale Montegrappa. Sono solo esempi dei luoghi nei quali almeno due o tre volte al giorno non c’è più margine per una percorrenza dignitosa, perlomeno superiore al mio passo affaticato. Chi avrebbe immaginato che la famosa Zona 30 della Giunta sarebbe stata un obiettivo e non una limitazione? Come dire, magari.

A Maggianico non ci si muove nelle ore di punta, a Germanedo si spera di non aver mai bisogno dell’ospedale: in centro e sul lungolago stendiamo un pietoso velo, da via XI Febbraio all’imbocco del ponte Manzoni è un delirio, mentre a Pescarenico verso il Bione è già un inferno, in attesa che la realizzazione del Quarto ponte apponga il colpo di grazia.

Se avete avuto la pazienza di seguire la processione sulle strade della città, favorite da una toponomastica calibrata su figure di spicco, converrete che la nostra città non può definirsi a misura d’uomo e neppure di auto. E non capisco come l’amministrazione Gattinoni non si renda conto che la viabilità è uno dei motori del consenso.

Lo sapevano bene i democristiani d’antan, che a ridosso delle elezioni trasformavano le strade in tappeti da biliardo.

La Provincia di Como, che ci comprendeva ed egemonizzava, eleggeva l’asfalto a moltiplicatore di voti e imitava, in sedicesimo, il modello delle assunzioni della Calabria. Laggiù forestali, uno per ogni albero si ironizzava, quassù cantonieri a mazzi.

Certamente non deve essere un calcolo elettorale a ispirare le politiche di un Comune, ma io qualche interrogativo me lo porrei, ascoltando i cittadini ed evitando la frenetica comunicazione di ogni apertura di cantiere, a meno che non si punti a un borgo a misura di “umarell”.

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