Verso il voto del 2026, niente è già scritto

Il recente sondaggio sulle elezioni comunali del 2026, documentato e scandagliato dai colleghi di questo giornale, conferma come l’attendibilità sia proporzionale al gradimento dei soggetti presi in esame.

Va da sé che, se interpreti i numeri favorevoli alla tua causa, non nasconderai sussultori cenni del capo, mentre farai spallucce se ne esci con le ossa rotte o anche solo con le tue convinzioni infrante.

I pronostici, sosteneva Gianni Brera in tutt’altra materia ben più appassionante e seria, sono fatti per essere smentiti.

Io, da sempre, mi lascio guidare dal mio personale strumento, che non è lo spannometro, bensì il fiuto affinato con la frequentazione dei marciapiedi e dei piani alti, sposato con l’astuzia che anche il cristiano deve coltivare per non finire infilzato come un tordo. Anzi come una candida colomba, di memoria evangelica. Ora, a margine dei commenti di attori e comparse, a me pare di dover rimarcare la precocità dell’assaggio che non lascia presagire ma neppure compromettere il sapore definitivo del fiero pasto.

Il recente passato è prodigo di moniti a procedere con massima prudenza, pena un rosario di smentite, di ribaltamenti, di pallori e di rossori che colorano la faccia degli opinionisti, in servizio permanente, che non avendone una sola se la giocano con spavalderia pari solo alla loro mediocrità senza arte, ma sempre di parte. Anzitutto il sondaggio, a Lecco come a Agrigento, non può non tenere conto dell’esercito degli astensionisti, da tempo ormai il partito più popolato e insieme la greppia più ambita da chi mira a rimpinguare il consenso e non dispone di uno straccio di idea capace di risvegliare passione o anche solo partecipazione, in specie dei giovani.

In questo senso siamo allineati, o meglio risucchiati dalle democrazie più avanzate, ma ancora mi sorprendo davanti a quel 36% di votanti che ha caratterizzato le elezioni regionali dell’Emilia Romagna, terra rossa di donne, di motori e di politica.

E continua a risuonarmi la scoppola di Pierluigi Bersani che nel 2013 si mangió un vantaggio di quasi dieci punti su Silvio Berlusconi e fu poi costretto a quell’umiliante streaming con i Cinque stelle per tentare di portare il Pd al governo attraverso il voto e non con le consuete manovre di palazzo, causa, tra le prime, della rottura tra istituzioni e cittadini che hanno ormai eletto la cabina al mare come rifugio costituzionale.

Eppure il bonario e sanguigno Pierluigi in groppa alle sue metafore, pompa (è figlio di un benzinaio) giudizi e ricette nelle vesti di guru dei talk-show, soprattutto di marca egiziana, nel senso di Urbano Cairo. A me poi quella stantia mucca in corridoio fa venire il latte alle ginocchia. Insomma minestra riscaldata dai due chef Bersani e Prodi che pontificano dall’alto delle loro solenni trombature. Ma torniamo a Lecco per tre brevi osservazioni che hanno tuttavia la pretesa di avere più autorevolezza del manuale delle giovani marmotte.

La prima è che a un anno e due mesi dal voto, il quadro politico potrebbe anche essere stravolto e aprire scenari per ora neppure ipotizzabili. Vale a dire che la partita è aperta e potrebbe non essere un derby tra centrodestra e centrosinistra. Un secondo campanello lo suonerei al centrodestra che se poggia la sua sicumera sui trentuno maledetti voti rivelatisi la manna per Gattinoni, rischia di capottare. Non sono io ad allarmare, ma le recenti sventure di Oggiono, Valmadrera e Merate.

E a rafforzare la mia convinzione che la sfida sarà più complessa di come appare sulla carta, basta guardare alle defezioni di Francesca Bonacina, Giovanni Tagliaferri, Clara Fusi, all’aperto dissenso di Mauro Frigerio (ex Linee Lecco), alle posizioni dell’ancora influente Antonio Rusconi e della discreta ma ferma opposizione dell’ex sindaco Virginio Brivio a numerosi provvedimenti e scelte dell’attuale amministrazione. Ancor oggi si sbattezza davanti al milionario aumento dell’irpef, nonostante il bottino del Pnrr.

Per non dire del ruolo di Appello per Lecco che fu determinante al ballottaggio e che non ha smesso di recitare il mea culpa, con una puntuale critica, non nei bar o in strada, ma nell’aula consiliare. E non ha certo abdicato all’ambizione di collaborare alla rinascita di Lecco.

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