E adesso in Venezuela può succedere di tutto: le tanto temute giornate post elettorali sono arrivate.
E’ bene subito dirlo. E’ un evento atteso che il Cne, ossia il Comitato elettorale nazionale, abbia assegnato la vittoria al presidente uscente Maduro, che si è imposto sul candidato delle opposizioni unite, il diplomatico González Urrutia, stravolgendo i sondaggi della vigilia che lo davano in ritardo di una ventina di punti.
Quando si ha a che fare con dei regimi, lo si sa purtroppo, c’è poco da farsi illusioni su una loro uscita pacifica. La comunità internazionale ha ora chiesto di conoscere nel dettaglio il sorprendente risultato e il Cne ha offerto piena collaborazione.
Se Maduro ha realmente vinto tocca accettare il responso delle urne anche se gli standard democratici di voto sono assai lontani - con i mass media completamente nelle mani del potere da anni e arresti degli oppositori a non finire. Altrimenti, se il vincitore fosse González Urrutia, a chi si potrà appellare il fronte anti-chavismo? Alle piazze?
Chissà perché, ma ci tornano alla mente le presidenziali in Bielorussia dell’agosto 2020. Qui “l’ultimo dittatore d’Europa” – la definizione è del Dipartimento di Stato Usa – Aleksandr Lukashenko vinse contro Svetlana Tikhanovskaja sovvertendo tutto comprese alcune rilevazioni pre-elettorali informali.
Le richieste delle opposizioni di verifica del voto non vennero accolte. Addirittura i bollettini e i protocolli elettorali vennero bruciati dopo 7 giorni.
Nei giorni successivi alla consultazione un intero popolo venne massacrato di botte nelle strade dalle squadre speciali mascherate; migliaia di persone, tra le quali la stessa Tikhanovskaja, furono costrette all’esilio; le carceri si riempirono di prigionieri politici, le cui sorti sono ancora oggi ignote.
Il Venezuela rischia, quindi, un bagno di sangue? Il pericolo è concreto; le prossime ore potrebbero essere decisive.
Come al solito in questi casi, l’esito finale dello scontro politico sarà determinato dai poteri forti, in particolare dalla posizione che assumeranno le Forze armate.
Difficilmente le pressioni della comunità internazionale potranno ottenere qualcosa in un Paese, da decenni sotto sanzioni statunitensi, il cui regime è inviso a gran parte degli Stati vicini.
Il Venezuela è il classico esempio di Paese ricchissimo di materie prime (soprattutto il petrolio dell’Orinoco), la cui popolazione è stata ridotta in miseria da politiche dissennate. Secondo le Nazioni Unite ben 7,7 milioni di venezuelani sono stati costretti ad emigrare per sbarcare il lunario.
«Siamo il risultato di un libero adattamento del chavismo», ha spiegato Maduro, l’ex autista di bus, che si prese la presidenza alla morte del caudillo Hugo Chávez. Da 25 anni la “república bolivariana” segue una strada ideologica socialista-patriottica in salsa latino-americana.
I risultati - aggravati da una grave polarizzazione e da un populismo sfrenato nella società nazionale - sono davanti agli occhi di tutti.
Sono già 300 i prigionieri politici e 6 oppositori del gruppo dirigente hanno evitato l’arresto chiedendo ospitalità all’ambasciata argentina. Se la parola passerà alle piazze, allora sì, che saranno dolori!
Come problematica potrebbe essere anche la situazione qualora Maduro giocasse la carta dell’appoggio di Paesi a lui vicini come Cina, Russia, Cuba, gridando al tentativo di golpe occidentale con l’obiettivo di accaparrarsi le immense risorse di petrolio.
Un’altra crisi, questa nel “Sud Globale” - come usano dire i “terzomondisti” contemporanei - proprio non ci vuole.
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