Ogni volta che si discute d’Europa c’è una sorta di “non detto” che raramente viene alla luce: l’idea è che il Vecchio Continente andrebbe unificato il più possibile, così che ogni ritardo lungo la strada che può portarci a un unico Stato continentale sarebbe qualcosa di negativo. Alcuni vedono nell’Europa la garanzia di un solidarismo rafforzato, mentre per altri essa sarebbe lo strumento più appropriato per una liberalizzazione economica ora molto lontana.
Le idee dunque in parte divergono, ma raramente all’interno della classe dirigente si ritiene che il progetto degli Stati Uniti d’Europa sia in sé discutibile e pure pericoloso.
Il risultato è che ad opporsi al processo in atto vi sono soltanto quelle forze politiche che l’establishment considera estremiste e, di conseguenza, delegittimate.
Non è però necessario essere nazionalisti e/o sovranisti per temere l’imporsi di uno Stato europeo: un potere sovrano che si collochi al di sopra di centinaia di milioni di persone che parlano lingue diverse e, di conseguenza, appartengono a dibattiti pubblici non comunicanti. Chi voglia esaminare con realismo la storia europea e la realtà delle istituzioni comunitarie dovrebbe adottare, allora, una prospettiva nutrita di scetticismo.
È importante avere presente, quale punto di partenza, che l’Europa s’è sempre caratterizzata – anche in opposizione alla Cina – per il fatto di essere stata per secoli un’area piuttosto coerente sul piano culturale, attraversata da relazioni di ogni genere (dalle fiere alle università), ma politicamente frammentata.
Non sono mancati i tentativi di unire ciò che era diviso, da Carlo Magno agli Ottone, da Napoleone ad Adolf Hitler, ma sono tutti falliti. Di conseguenza viene da pensare che unificare l’Europa sia tradirne la natura più autentica, la quale valorizza la varietà assai più che la semplicità e l’uniformità.
La complessità linguistica del Vecchio Continente ha sempre accompagnato una vivace concorrenza istituzionale.
Il duca francofono della Savoia e il margravio germanofono del Brandeburgo amministravano territori tutto sommato di modeste dimensioni, così come ben definita era l’area su cui vigeva la giurisdizione di Genova oppure di Brema, di Venezia oppure di Amburgo; ma lo stesso si può dire per le città fiamminghe e per le comunità olandesi. L’Europa era fatta grande dal dinamismo del mercato dei beni, dalla ricchezza del dibattito culturale e dalla diversità delle istituzioni politiche.
Già le unificazioni ottocentesche tradirono lo spirito più autentico dell’Europa, nel momento in cui costruirono unità artificiose e capitali desiderose di conquistare imperi oltremare. Oggi un continente-Stato con capitale a Bruxelles porterebbe alle estreme conseguenze quella logica, funzionale agli interessi di élite politiche che, per loro natura, puntano sempre a concentrare il potere in poche mani.
Non bastasse questo, nelle ultime settimane si parla molto di dar vita a un esercito europeo e al riguardo non si può ignorare che, la storia l’insegna, le nuove realtà politico-istituzionali sono spesso cementate da una guerra. È questa una prospettiva, però, da contrastare in ogni modo.
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