Prima della pausa estiva, mentre imperversavano le polemiche sulla cancellazione del reato di abuso d’ufficio, passava pressoché inosservato un provvedimento che riteniamo utile segnalare per le sue molteplici implicazioni.
Si tratta dell’istituzione di una “Cabina di regia per le professioni economico giuridiche” i cui componenti saranno i presidenti del Consiglio Nazionale Forense, Francesco Greco, del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Elbano de Nuccio, e del Consiglio nazionale del Notariato, Giulio Biino. L’organismo, presieduto dal ministro della Giustizia o dal capo di Gabinetto, si riunirà una volta al mese e prevede la partecipazione volontaria del viceministro e dei sottosegretari di Stato.
Le ragioni che hanno ispirato l’istituzione di questa “cabina di regia” sono contenute nel decreto del 5 luglio: “Costruire una stabile interlocuzione con questi professionisti può assicurare la tempestività dei loro contributi in vista dell’elaborazione di iniziative legislative efficaci e adeguate alle esigenze dei rispettivi settori di appartenenza”. Inutile dire che la misura è stata salutata con favore dai presidenti degli Ordini professionali sopracitati secondo i quali, grazie a questo nuovo istituto, sarà possibile “individuare assieme idee e soluzioni legislative nell’interesse generale”.
Il fatto che le cronache abbiano trascurato la notizia denota la superficialità con cui l’opinione pubblica sia solita sottovalutare, o perfino ignorare, l’impatto di alcuni provvedimenti sul nostro ordinamento giuridico. In verità, l’istituzione di questo organismo risulta inficiata da alcune criticità che, per non rendere la materia indigesta, proviamo a riassumere nei seguenti punti.
1) Risulta sorprendente che, dopo avere ripudiato il metodo della “concertazione” con le parti sociali, il governo abbia inteso privilegiare la rappresentanza delle categorie professionali più prestigiose chiamandole a compartecipare all’attività legislativa (per varare “iniziative legislative efficaci e adeguate alle esigenze dei rispettivi settori di appartenenza”): sarebbe ipocrita non riconoscere che risulta concreta e realistica l’ipotesi che le “esigenze” di tali categorie possano prevalere sull’interesse generale. 2) Invitare avvocati, notai e commercialisti a collaborare con il governo implica il rischio di “istituzionalizzare” una rappresentanza e, nel contempo, di traslare nelle sfere dell’esecutivo l’attività di lobbing che abitualmente si dispiega in Parlamento. Si tratta di un profilo che andrebbe valutato attentamente in un paese, come l’Italia, in cui le assemblee legislative hanno sovente appaltato la propria attività agli interessi di gruppi e di potentati di cui il cittadino ignora, perfino, l’esistenza. 3) Non per ultimo, la “cabina di regia” rischia di esasperare lo scontro tra governo e magistratura posto che l’organismo in questione finisce, in modo artificioso, per attribuire agli avvocati una capacità di interlocuzione diretta con la magistratura di cui non vi è traccia nella Costituzione. Infatti, attraverso lo schermo dell’organismo, l’avvocatura godrebbe di una capacità negoziale, del tutto inedita, mediata dalla presenza del ministro che, solo nominalmente, sarebbe responsabile degli atti e delle iniziative di questo nuovo organo. Siamo, pertanto, davanti ad un provvedimento che collide con lo spirito di un ordinamento democratico che andrebbe preservato da simili innesti normativi dal cui tenore i più malevoli potrebbero arguire uno spirito larvatamente “corporativista” che non giova al prestigio né del governo, né degli Ordini professionali in questione.
Come diceva Bobbio, la democrazia non può tollerare nessun tipo di particolarismo e, soprattutto, nessuna forma di opacità. Sarebbe sempre utile tenere bene a mente questi principi che devono restare irrinunciabili al fine di evitare quella deriva oligarchica che rappresenta la vera causa del declino della democrazia rappresentativa.
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