È venuto il momento di tenere i nervi saldi. E’ iniziata, forse, la mano finale della tragica partita di poker ucraina, che durerà fino al 20 gennaio, quando Trump si insedierà alla Casa bianca. Fino ad allora, purtroppo, ne vedremo di tutti i colori.
Oggi l’obiettivo dei contendenti è quello di essere tra un mese e mezzo nella migliore condizione per cominciare a negoziare da una posizione di forza.
Sia i russi sia gli ucraini hanno ormai il fiato corto. Concludere una tragedia, che non sarebbe mai dovuta cominciare, diventa una necessità urgente. Il cambio alla Casa bianca offre un’occasione unica.
Nel frattempo, però, bisogna augurarci che nessuno dei contendenti perda il controllo degli eventi. L’aspetto mediatico dello scontro tra Russia ed Occidente è uno dei più delicati e cruciali. Il Cremlino, lo si è compreso, giocherà ora tutti gli assi a disposizione per influenzare a proprio vantaggio le opinioni pubbliche europee e nord americane.
Occhio alle “intimidazioni” è il monito di Kiev, che evidenzia come il lancio del nuovo supermissile ha anche scopi, non solo militari. “Ma è vero che siamo in guerra con la Russia?” è stato chiesto al premier britannico Starmer, che ha cercato di tranquillizzare i connazionali.
“Sto tenendo un briefing”, ha risposto al telefono Maria Sakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, ad un interlocutore misterioso che la invitava a non commentare il lancio della nuova arma.
E poche ore dopo, nella fascia di massimo ascolto, Putin ha letto un messaggio in tivù come fa solo nei crocevia della sua presidenza. Mosca, ha detto, si riserva di colpire i Paesi che forniscono le armi usate contro il territorio russo.
Domanda: come hanno fatto Iran e Israele voleranno adesso missili tra Est e Ovest?
Una delle maggiori preoccupazioni delle leadership del G7 è che le proprie opinioni pubbliche non sono pronte ad affrontare una sfida mediatica del genere. E la vittoria di Trump in America è un’ulteriore conferma che siamo entrati in una realtà post verità; di lotta tra opposte narrative.
Con una aggravante: i social media occidentali sono infestati da fake news di origine varia. Ora il duello con la Russia, dove, da un decennio, sono state scoperte le “fabbriche di trolls” che producono industrialmente post, poi inseriti nei luoghi giusti.
A questo vizio contemporaneo va aggiunto che la “disinformatsija” - la cui scuola ebbe i natali in epoca zarista e fu perfezionata nell’era sovietica - poggia le sue capacità su studi sofisticati riguardanti il controllo dei popoli. Del resto, se si vuole costruire un impero, diversamente non si può fare.
Oggi colpisce che anche professionisti dei media occidentali, a volte inconsapevolmente, ripetano concetti, facendo da gran cassa a narrative altrui, non verificabili.
Le prossime settimane, in breve, saranno tese, piene di bluff e minacce. Ma attenzione: i rischi di uno scontro tra Russia e Nato sono alti non dal febbraio 2022, quando si è aggravata la tragedia russo-ucraina, bensì dal 2014 – dall’EuroMaidan a Kiev.
Per 8 anni le rincorse tra bombardieri strategici, tra caccia e le sfide nei mari sono state continue e silenziose. Stesso discorso vale per le manovre aeree strategiche di qualche giorno fa di russi e di cinesi con l’immediato decollo dell’Aviazione della Corea del Sud e americani-giapponesi a vigilare dagli schermi dei radar.
Per anni questi scenari di guerra non hanno fatto notizia. E i toni bassi hanno aiutato a non provocare l’irreparabile. Questa è la realtà di oggi: nessuno caschi in ben organizzati tranelli mediatici.
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