Trump e l’Europa un odio senza senso

Di tutte le novità sconvolgenti che Trump, giorno dopo giorno, dispensa al mondo intero, forse la più sorprendente e, per certi versi, la più difficile da motivare, è l’odio che manifesta nei confronti del nostro caro, vecchio continente.

Il rifiuto di continuare a scaricare sui contribuenti americani i costi della protezione militare dell’Europa, la volontà di riequilibrare la bilancia commerciale con l’introduzione di dazi, la sua gestione degli affari internazionali in puro stile yankee, come se tutte le questioni si potessero risolvere in un semplice do ut des; tutte queste novità, non certo piacevoli per noi europei, erano scontate e comunque in linea con la filosofia trumpiana del Make America great again.

Risulta invece a noi non solo ingiustificata, ma anche francamente ingiustificabile, oltre che – a ben guardare - autolesionista, la rabbiosa, violenta, gridata ostilità che Trump e con lui l’intero vertice del governo americano ostentano nei confronti dei paesi europei, storici partner degli Stati Uniti.

“Ridicoli, patetici” sono gli epiteti che, bontà sua,ha riservato agli alleati d’Oltreatlantico il negoziatore di Trump sull’Ucraina Steve Witkoffnel corso di un’intervista rilasciata al Tucker Carlon Show. “Parassitii” siamo stati chiamati dal vicepresidente J.D. Vance e dal nuovo capo del Pentagono Pete Hegseth nel corso di una conversazione che doveva restare rigorosamente riservata e invece è divenuta pubblica grazie allo svarione commesso di includere il direttore di un giornale (l’Atlantic) nella chat operativa per un attacco contro gli Houthi. Oltre che scomposta, questa ostilità verso i propri storici alleati – come si diceva - appare priva di reali motivi. Soprattutto non si capisce a quale fine tenda.

Da sempre, una caratteristica propria dei grandi imperi è di costruirsi una vasta rete di alleanze. Serve a potenziare la forza militare. È utile per rendere più sostenibili gli impegni internazionali. Funge da deterrente per chi nutre cattive intenzioni. La Roma imperiale ha avuto una longevità millenaria proprio grazie alla sua capacità di inclusione, persino dei nemici. Elargiva loro addirittura la cittadinanza in modo che si sentissero integrati nella nuova patria.

Se di questo odio nei confronti dell’Europa si fatica a trovare motivazioni razionali, bisogna cercarle altrove, magari in un dato psicologico o in uno semplicemente emotivo. Proviamo a Indicarne due.

Primo: gli Stati Uniti sono nati come una costola dell’Europa, ma da almeno un trentennio si stanno trasformando in un paese, non più di immigrati europei, ma di messicani, di cinesi, di portoricani, di cubani. Insomma, l’Atlantico non unisce più. Separa. L’Europa è lontana.

Secondo: Trump è diventato – e vuole intensamente essere - la gola profonda dell’America profonda. Quell’America che, da quando la globalizzazione ha subito un’accelerazione travolgente, ha visto desertificate intere regioni, storiche sedi di grandi aziende manifatturiere. Più ancora che del benessere, l’americano si è sentito defraudato del suo “sogno” per il quale aveva creduto che bastasse combattere con determinazione, coraggio, intraprendenza per rendere possibile l’impossibile. È questo futuro di speranza, di cui il lavoratore, l’ex operaio, il dirigente si sente defraudato. Trump s’è proposto come il nuovo Mosè che libera il suo popolo dalla servitù degli “scrocconi”. Il giorno dei dazi è diventato il Liberation day, il giorno della liberazione. Se poi i dazi faranno - fanno già - più male che bene all’America, nessun problema. Ci sarà sempre lo scroccone di turno cui imputare la colpa.

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