Telegram ed i social al di sopra della legge

Da un lato, Pavel Durov, il fondatore di Telegram arrestato ieri a Parigi con un lungo elenco di accuse non appena sbarcato dal suo jet privato, va considerato un benemerito. E non scherziamo. Dall’Iran alla Russia, da Hong Kong a tanti altri posti nel mondo dove alti papaveri pretendono di restringere la libertà di pensiero in favore del loro, unico, pensiero, la totale libertà concessa agli utenti di Telegram ha consentito la creazione di spazi di opposizione, di protesta, senza scandalo per nessuno potremmo persino dire spazi di democrazia. Ma dall’altro lato, la totale libertà e la totale assenza di qualsiasi controllo su quel che Telegram ha via via ospitato ha fatto sì che Durov si trasformasse, per l’accusa, in complice di tutte le organizzazioni che hanno usato Telegram, del tutto indisturbati, per ogni genere di malaffare.

Lo si vedeva, negli anni, dalle cronache nere e giudiziarie. Dove adescava quel pedofilo le sue vittime? Su Telegram. Dov’è ormai facilmente ordinabile ogni tipo di sostanza stupefacente, con tanto di consegne a domicilio? Su Telegram. Dove hanno proliferato le oscenità antiscientifiche durante e dopo la pandemia? Su Telegram. E l’elenco potrebbe continuare, basterebbe scorrere le accuse per le quali ieri, a Paris Bourget, l’atterraggio non è stato esattamente di quelli morbidi. Là dove c’è del torbido, purtroppo, Telegram è il mezzo utilizzato.

E attenzione: Telegram è indiscutibilmente una App che dal punto di vista tecnico funziona in modo eccellente. Pure troppo, verrebbe da dire. E non è d’altra parte pensabile che i vertici della compagnia fossero all’oscuro di quel che capitava dentro casa, che non si fossero resi conto, cioè, che il sacro principio della libertà era in questo caso degradato prima nell’anarchia, e poi nelle porte spalancate alla criminalità.

A prima vista viene comunque da simpatizzare per questo ragazzotto russo cresciuto in Italia, che ha avuto il coraggio di dire un “no secco” a Putin quando il governo di Mosca pretendeva di ficcare il naso nelle conversazioni private degli utenti. E nonostante quel “no”, che certo non ha fatto spalancare sorrisi nelle stanze del Cremlino, Durov è riuscito a non volare misteriosamente da una finestra, come capita in genere, presto o tardi (ma più presto che tardi) a chi osa mettersi di traverso allo Zar.

Decideranno i tribunali se Durov merita gli arresti o la libertà. Il tema è certamente controverso, perché è proprio questa capacità di Telegram di essere “sotterranea” ad aver generato il ruolo di spina nel fianco dei regimi autoritari. Questo aspetto va senz’altro protetto, e l’Europa, che dei regimi autoritari è nemica per definizione, non può non tenerne conto.

Accanto a questo però va pretesa “pulizia”. Non è impossibile impedire che attività criminali di ogni tipo facciano e moltiplichino i loro sporchi affari approfittando dell’autostrada di libertà concessa dalla tecnologia. Chi quella tecnologia maneggia ha il dovere di non chiudere gli occhi, né in nome della libertà né, tantomeno, in nome del proprio fatturato a nove zeri in dollari.

E questo non deve valere solo per Telegram, ovviamente. Al di là dell’oceano Elon Musk, che pure resta uno dei più grandi innovatori del nostro tempo, non può certo permettersi di varcare il confine dell’illecito. Ma certi “giochetti” con l’Intelligenza artificiale, buttati in pasto al pubblico per provare a deviare il corso della campagna elettorale per la Casa Bianca, certamente sono un passo “oltre” che segnala un rischio per il futuro. Un rischio che bussa alle porte delle democrazie.

L’arresto di Durov deve segnare un crinale non discutibile: i social non sono “fuori” dal mondo, e quel che accade lì non è al di sopra della Legge. E deve valere per tutti: dalle peggiori organizzazioni criminali all’ultimo boomer da strapazzo che scambia Facebook per il festival dell’insulto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA