E quindi, quale sarà mai il segreto di Taylor Swift? Quale la chiave che le fa aprire il cuore di milioni di giovani di tutto il mondo, senza distinzione di razza, sesso, censo e cultura?
Ma è proprio un bel mistero, ma cosa sarà mai, una cantante che crea duecento milioni di indotto nelle due date di Milano, è una cosa incredibile, una cosa iperbolica che deve per forza avere qualche radice nascosta e profondissima nelle pieghe della società. E tutti lì a pensare e a ponzare e a elucubrare e a discettare e a grattarsi la pera, fino a quando - eureka! - arriva l’illuminazione che tutto spiega, tutto svela, tutto codifica. Taylor Swift conquista le masse perché accoglie e propaga le emozioni, le ansie e le aspirazioni dei giovani, è identificatrice e identificante, raccoglie nelle sue note e nei suoi testi i sogni, le paure e le pulsioni di una società nuova, in continua e magmatica evoluzione, che vede in lei quello che vorrebbe essere e quello che è già in realtà, una proiezione di se stessa, uno specchio, una luce, un riferimento.
Analisi impeccabile, ficcante e arguta, niente da dire, e soprattutto profondamente originale e non mainstream, sulla quale le meglio teste pensanti, i meglio scienziati e i meglio cervelloni del bigoncio massmediologico hanno scritto parole come pietre, parole definitive, atte a analizzare una volta per tutte un fenomeno che non è solo musicale, ma addirittura antropologico, culturale.
E i Maneskin, però? Quali le ragioni profonde del successo clamoroso dei Maneskin, di Damiano e Victoria, così italiani, così romani, ma al contempo così internazionali, così pop, ma anche così rock? Dovrà pur esserci un segreto, un filo rosso che ne spiega l’affermazione oltreoceano, e dopo tanto penare e meditare i nostri cervelloni di cui sopra hanno sentenziato che i Maneskin piacciono a tutti perché accolgono le emozioni, le ansie e le aspirazioni dei giovani, raccolgono le paure, i sogni e le pulsioni di una nuova generazione e di una nuova società in continua e magmatica evoluzione. E anche queste sono parole sagge e originali, senza dubbio. Che poi, a pensarci bene, pure i Tokyo Hotel all’inizio degli anni Duemila facevano concerti esauriti a raffica e, infatti, a forza di ragionare su cosa potesse mai esserci di speciale in quella boy band di ragazzotti della Germania dell’est, alla fine si era unanimemente condiviso che le ragioni dei loro sold out planetari fossero legati al fatto che rappresentassero le emozioni, le ansie e le aspirazioni dei giovani e raccogliessero i sogni, le paure e le pulsioni di una società nuova in continua e, ma guarda, magmatica evoluzione.
Che era tutt’altra cosa delle ragioni del, a sua volta, mostruoso exploit negli anni Novanta delle Spice Girls, che hanno venduto dischi a miliardi e così, nella consueta adunata di premi Nobel e premi Pulitzer, ci si domandava quale segreta vena creativa avesse fatto esplodere le cinque buzzurre guidate da Mel B e Mel C, senza dimenticare Geri Halliwell, naturalmente. E si era infine deliberato che il segreto stava tutto nell’aver saputo cogliere le emozioni, le ansie e le aspirazioni dei giovani, mai così fragili e sensibili, e i sogni, le paure e le pulsioni di una società in continua e - indovinate un po’? - magmatica evoluzione. Che poi, a pensarci bene, non era forse la stessa cosa che si era detto degli 883? E cioè che, dalla profonda provincia pavese, erano stati capaci di raccontare gli amori, le paure e le emozioni di una gioventù spaesata e sognatrice e le aspirazioni di una società nuova e tremendamente magmatica? Che, alla fine, uno si mette a ridere perché, diciamoci la verità, ormai sono tre decenni che scriviamo sempre le solite fregnacce.
Per fortuna che negli anni Ottanta, invece, per studiare i fenomeni musicali di massa si utilizzavano strumenti critici ben più affinati e raffinati. Ad esempio, quando si analizzavano Madonna o i Duran Duran o i Righeira, i memorabili e inarrivabili Righeira, che in fondo, dopo tormentata riflessione, avevano sconvolto il globo terracqueo con le loro canzonette perché nelle loro canzonette si raccoglievano le emozioni, le ansie e le aspirazioni dei giovani, di una gioventù finalmente deoidelogizzata, e le pulsioni di una società nuova e in continua - e magmatica!! - evoluzione. Che era poi la stessa cosa che avevamo scritto per Vasco Rossi, ma anche per gli Abba nel decennio precedente e pure per gli Inti-Illimani, il Gioca jouer, il Duo di Piadena, Orietta Berti, Claudio Villa e Luciano Tajoli.
Passano gli anni, cambiano le popstar, cambia tutto. L’unica cosa che non cambia mai sono i media, che nel trionfo del sociologhese, dello psicologhese, dell’antropologhese per la casalinga di Voghera, della malleveria di quelli che la sanno lunga, te la spiegano e te la raccontano con il ditino alzato, ma che si fanno sfuggire che in questi casi, con tutta probabilità, l’oggetto dell’adorazione e dell’emulazione adolescenziale è del tutto secondario, addirittura irrilevante. Ci si può sentire posseduti dai Pooh così come dai Pink Floyd, il contenuto non conta, perché quella è semplicemente una fase della vita nella quale si ha bisogno di sentirsi parte di qualcosa di più grande, di un’onda più lunga - quale che sia – alla quale affidare i propri sogni, le proprie paure, le proprie aspirazioni eccetera eccetera.
E’ tutto lì, non c’è da fare grandi ragionamenti per nobilitare la spazzatura musicale che si ascolta spesso da ragazzi, e pure dopo. A quell’età qualsiasi avvenimento - qualsiasi! - diventa lo strumento grazie al quale ti butti a capofitto nel mondo. Che sia Woodstock o la Sagra dei Firlinfeu di Bernareggio, che negli anni Settanta aveva tanto infiammato gli animi della migliore gioventù brianzola, perché nulla come la Sagra dei Firlinfeu di Bernareggio aveva accolto le emozioni, le ansie e le aspirazioni dei giovani e le pulsioni di una Brianza in continua e magmatica evoluzione. Signora mia, sapesse quanto era magmatica la nostra bella Brianza...
@DiegoMinonzio
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