Di Renzi si può dire tutto e il suo contrario, ma non a proposito della volontà di attuare delle riforme. Di fare le riforme si parla sempre, ma quasi nessuno poi riesce a portarle a casa, salvo i casi in cui l’acqua è ben oltre il livello della gola. Non è solo per l’inadeguatezza del ceto politico, ma anche perché le riforme costano. I termini di popolarità ed economici. Lo stesso Jobs act, appena licenziato dal Senato, che prevede, tra l’altro, di ridurre una quota dell’Irap a carico delle imprese, ha un costo. E i soldi per la riforma del lavoro, come quelli per gli 80 euro, da qualche parte bisogna andare a prenderli, visto che i conti dello Stato sono quelli che sono e l’Europa ci tiene occhi e briglie addosso.
Forse è questa la ragione per cui, nella legge di stabilità, è previsto un aumento retroattivo della quota imponibile per i dividendi percepiti dagli enti non commerciali che passa dal 5 al 77,74%. Un modo per andare a recuperare risorse senza rischiare troppa impopolarità. Perché tra questi enti vi sono anche le Fondazioni bancarie che è facile per molti identificare con le banche, quelle cioè che negano i mutui alle famiglie, il credito alle imprese e manipolano i nostri risparmi pro domo loro e, solo in piccola parte, a favore di chi glieli affida.
Giusto, insomma, tassare questi cattivoni egoisti, agire con il grimaldello nei loro forzieri stracolmi. A parte che le banche non sono sempre e solo come vengono rappresentate, le fondazioni bancarie e gli enti del Terzo settore in genere, rappresentano anche un’altra cosa. E proprio in questi anni di crisi hanno assunto un ruolo sempre più importante nell’ambito di un welfare che, alla luce delle difficoltà del settore pubblico, deve trasformarsi da “state” a “society”. Occorre cioè ampliare e potenziare la rete della solidarietà che il settore pubblico non riesce più da solo a sostenere. Le Fondazioni bancarie finanziano ogni anno una miriade di progetti per il territorio. Quello da 5 milioni della Cariplo per il restauro di Villa Olmo e del suo parco è solo la punta di un gigantesco iceberg sommerso che vede tante associazioni, sodalizi, parrocchie, espressioni del volontariato ricevere contributi per progetti di assistenza, anche a livello emergenziale. Perché la crisi ha messo a repentaglio la sussistenza di molte persone che non hanno più un tetto sopra le testa e di che mettere insieme il pranzo con la cena. Un numero che, ce lo dicono le statistiche, ma gli stessi volontari del settore, è in crescita costante. Anche le istituzioni locali, alle prese con tagli di trasferimenti centrali draconiani, si rivolgono sempre di più alle Fondazioni per gli interventi di utilità sociale. L’alternativa è quella di agire sulla leva della tassazione locale già spinta quasi al limite massimo.
La tassa sui dividendi degli enti non commerciali diventa insomma una sorta di balzello sull’assistenza e, visto che questi realizzi, frutto della gestione dei patrimoni delle fondazioni, sono quelli che finanziano i progetti, ci sarà, giocoforza, una riduzione degli aiuti. E non solo. Il balzello scoraggia anche coloro che nel Terzo settore investono. Insomma, Renzi e il governo farebbero bene a ripensarci e cercare altrove i fondi per rimettere in sesto il bilancio pubblico. Le alternative non mancherebbero. C’è la corruzione che, come si insegna l’inchiesta su mafia capitale, continua a dilagare in Italia e determina uno sperpero indecente di soldi pubblici. C’è l’evasione fiscale che ancora non è stata combattuta con la dovuta efficacia. Paghi chi deve, non chi opera per la solidarietà. E poi c’è il capitolo dei tagli alla spesa pubblica. Riforme difficile e impopolari. Certo è più facile sanzionare chi agisce alla luce del sole per aiutare la società in difficoltà.
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