“Avetrana”, il film in 4 puntate prodotto dalla Disney, ha fatto infuriare i cittadini avetranesi che non accettano di vedere associato il nome del proprio paese ad un evento delittuoso di cui le cronache si sono occupate per lungo tempo.
Facendosi interprete di tale disappunto, il sindaco di Avetrana ha chiesto e ottenuto la sospensione della messa in onda della serie televisiva scatenando una canea di commenti ingenerosi che tendono ad ignorare il disagio di una comunità che, da anni, vede associato il nome del proprio paese ad una tragedia che si vorrebbe dimenticare.
È indubbio che, nelle cronache, Avetrana, come Cogne, Erba e gli altri paesi in cui si sono consumati episodi simili, evochi un ricordo sinistro che induce ad accomunare il nome della città alla triste vicenda di Sarah Scazzi. Probabilmente sarebbe stato opportuno concordare il titolo della serie autorizzando le riprese sul territorio che avrebbero esaltato la bellezza del litorale, come è avvenuto in passato per altre produzioni. Ma, nel caso di specie, si discute esclusivamente dell’utilizzo del titolo e non della trasposizione televisiva della vicenda che, ad Avetrana, tutti ritengono legittima. In questa sede, pertanto, ci preme valutare il profilo squisitamente giuridico della “querelle” che sembra fondarsi su quella che, nel linguaggio processuale, si suole definire “probatio diabolica”, cioè, una prova complessa e di estrema difficoltà. Infatti, dopo l’adozione del provvedimento cautelare, la magistratura sarà chiamata ad entrare nel merito valutando l’impatto che l’utilizzo del nome di una città produce nell’immaginario collettivo e, conseguentemente, nel prestigio della città che si sente esposta al pubblico ludibrio.
Seppur rischiosa e gravida di incognite, si tratta di una causa interessante per la novità che sortirebbe in sede giurisprudenziale: la tutela del diritto al nome non sarebbe più appannaggio delle sole persone fisiche ma verrebbe estesa anche ai Comuni quali enti territoriali dotati di personalità giuridica.
In proposito, occorre rammentare che, già in altre occasioni, la Suprema Corte ha statuito che “la tutela civilistica del nome e dell’immagine, ai sensi degli artt. 6, 7 e 10 c.c., è invocabile non solo dalle persone fisiche ma anche da quelle giuridiche e dai soggetti diversi dalle persone fisiche” (Cass. n. 18218/2009). Purtroppo, fino ad oggi, le pronunce non hanno mai interessato quella peculiare tipologia di persone giuridiche che sono gli enti pubblici e, in particolare, i Comuni. Vedremo, pertanto, se il Tribunale di Taranto intenderà adottare una interpretazione estensiva della norma invitando la Disney a riconoscere le giuste ragioni di una comunità di cui occorre comprendere il grave disagio con grande rispetto e senza facili e stucchevoli ironie.
Oggi è successo ad Avetrana, domani potrebbe accadere a Erba: per questo motivo risulta interessante l’esito di una causa nella quale sarebbe auspicabile una saggia transazione che postula il buon senso sia di Davide che di Golia.
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