Scuola e politica universi distanti

Devo dire che raramente mi capita di esultare per una notizia letta a sorpresa su uno dei tanti quotidiani che ingrossano la mia mazzetta giornaliera. Vuoi perché gran parte dei fatti globali e nazionali ormai hanno più il sapore della desolazione che del tripudio, vuoi semplicemente perché detesto con tutta l’anima il perbenismo e la retorica che spesso circondano le supposte “buone notizie” con le quali si vorrebbe rianimare un polso sociale un tempo martellante e ormai flebile. Nei giorni scorsi, però, ammetto di aver avuto un sussulto d’orgoglio nel leggere, proprio qui sulle colonne del nostro giornale, di come i risultati dei test Invalsi (una specie di preliminare della maturità che vorrebbe testare quanto sale sia entrato nella zucca degli alunni a fine ciclo) abbiano premiato gli studenti delle quinte superiori lecchesi. Primi assoluti, e non solo in Lombardia, ma in Italia. I migliori risultati del Paese, se consideriamo la quota di insufficienze, la più bassa tra tutte le province. Non ho potuto fare a meno di imbracciare il fidato taccuino e fissare già su carta alcuni dei concetti che avrei voluto addensare nel canonico fondo del lunedì. Mi ero già appuntato della tradizione del mio amato liceo Manzoni, da don Ticozzi alla Formaggia, dalla Faranda a mia zia Carla Calvetti, la filosofa. Avevo già scandagliato la galassia affascinante del rapporto scuola-impresa, e dello sforzo di tante brillanti teste locali nel gettare un ponte tra i due mondi. Una su tutte, Confindustria, che non potrà che essere incoraggiata da questi numeri, perché il mondo dell’imprenditoria lecchese ha in fondo nel suo dna l’equazione scuola-lavoro. La incoraggia, investe in questa direzione, dimostrando che a Lecco non ci sono asini e capre, ma puledri di razza. Avevo riguardato anche i numeri impressionanti dell’istituto Badoni, del Rota, del Grassi, di tutta la filiera tecnico-scientifica locale che fa invidia ai college anglosassoni. E poi, quell’impresa sussidiaria del fare scuola che a Lecco è viva e virtuosa, dalla Fondazione Brandolese, delle scuole di Rancio e Oggiono fino al Volta che ben conosco: mio padre e la sua banda di fratelli studiò lì e ora mia nipote Ginevra alle medie. Per non citare tutti gli altri, ovviamente.

Dicevo, il fondo stava già prendendo forma quando mi ha improvvisamente colpito una riflessione. Ma dove finiscono poi tutti questi cervelli? Perché quando mi sposto con il pensiero al piano superiore (quello della politica, ad esempio) l’eccellenza diventa imbarazzo? Perché chi primeggia tra i banchi di scuola non sceglie poi di eccellere tra i banchi dei consigli comunali o in Parlamento?

Delle due, l’una. O nelle stanze del potere c’è un’aria talmente rarefatta di ossigeno che pare quasi di essere sulle rive del lago Titicaca (dove, mi dicono, occorre dosare sforzi e ragionamenti), oppure il sentiero che conduce dalle aule di scuola a quelle parlamentari è talmente irto di ostacoli e trappole da bloccare l’accesso a chiunque non conosca una scorciatoia. E possono essercene parecchie: dal nepotismo alla bieca raccomandazione, dall’avere il posteriore al caldo e tempo da perdere, al confondere l’attacchinaggio elettorale con un cursus honorum degno di questo nome. Sta di fatto che, anche per quanto riguarda la politica locale, la meglio gioventù scolastica si trasforma amaramente nella sporca dozzina, l’undici degno di un triplete di Mourinho diventa improvvisamente la nazionale dello sventurato Ventura. Ho già avuto modo, da queste colonne, di tirare le orecchie ai giovani coordinatori e segretari che dettano legge nei partiti locali. Li vedo ancora dirsele dietro con gusto, come dentro la pista degli autoscontri, e fare voli pindarici sui temi nazionali senza sfiorare minimamente il piano territoriale con le sue mille, puntuali,concrete necessità. Non so dire cosa manchi. Ai tempi nei quali io crescevo a pane e politica, le sezioni di partito erano scuole di vita, di idee e di ideali, capaci di attirare e ispirare la meglio gioventù. Oggi, qualora ancora esistano, attirano lo scherno e le pernacchie perfino dei peggiori.

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