Schlein e meloni rinuncino agli slogan

A urne aperte, i partiti di regola cercano di avvalorare l’interpretazione del voto più confacente a sostenere la propria linea politica e implicitamente le loro leadership. È naturale,perciò, che la Schlein plauda al sostegno ricevuto dagli elettori e, correlativamente, all’incoraggiamento incassato alla propria proposta di campo Largo. Parimenti, si capisce che la Meloni abbia preso - come s’usa dire - con filosofia la bocciatura delle sue due candidate a governatore: “le sconfitte - ha commentato - servono talvolta a riportarci con i piedi per terra”.

Tutto ciò è nell’ordine delle cose. Preso atto, però, del responso elettorale e delle conseguenze politiche immediate che esso comporta, è bene porre l’accento sui dati di fondo del nostro sistema politico che la tornata elettorale appena conclusa ha ribadito.

I due poli si confermano dotati di una forza elettorale sostanzialmente pari, con passaggi da un fronte all’altro praticamente insignificanti. Ciò comporta che l’esito finale del voto dipenda in genere in misura preponderante dalla capacità di ciascuno di essi di mobilitare il proprio elettorato, sottraendolo ai richiami della sirena, rivelatasi negli ultimi tempi sempre più irresistibile, che li invita all’astensione. Per riuscirci è decisivo rispettare due condizioni: la compattezza della coalizione e la buona qualità delle candidature proposte.

Il primo si rivela un attributo prevalentemente del centrodestra, il secondo del centrosinistra. I due attributi compaiono insieme nel centrodestra, ma solo alle politiche grazie al solido profilo di leadership della Meloni, nel centrosinistra, ma solo alle elezioni amministrative, meglio ancora alle comunali. C’è un’ulteriore precisazione da aggiungere: la qualità delle candidature non dipende dal loro spessore politico, ma dalla loro competenza e credibilità personale.

In parole povere, i due poli dovrebbero prendere atto che non serve scommettere sulla propria identità politica. Il valore aggiunto che può far loro agguantare la vittoria viene piuttosto dalla concretezza e plausibilità della propria proposta programmatica. S’è visto a cosa porta estremizzare il proprio linguaggio politico. Usare parole di fuoco, quando ci si riferisce agli avversari, del tipo “zecche comuniste” o “camicie nere”, non porta lontano. Serve, tutt’al più, ad infiammare lo spirito partigiano dello zoccolo duro dei propri fedeli, non a mobilitare il largo pubblico degli elettori.

È un caso-limite, questo, che comprova bene l’inefficacia del ricorso alla politicizzazione dello scontro. Attesta nello specifico l’esaurimento o,meglio, l’inattualità ormai delle loro culture tradizionali. Figlie di un’epoca in cui dominava il conflitto sociale interno alla nazione, sono ormai diventate mute di fronte ai conflitti innestati dalla globalizzazione e dalla frammentazione interna della società.

Vivono nel Nuovo Millennio e non riescono a liberarsi delle scorie del secolo appena trascorso, il secolo breve, il secolo delle guerre ideologiche che hanno insanguinato il mondo, l’Europa, l’Italia.

Nulla meglio di questa dissociazione dei partiti,da un presente che li incalza e da un passato morto che li trattiene, mette in luce l’impasse in cui si sono arenati. Si agitano e non fanno un passo in avanti, bloccati come sono da due spinte uguali e contrarie: il futuro che li spinge a guardare in avanti e il passato che li trattiene. Una per tutte: la frattura, propria del Novecento, di fascismo/antifascismo. Due identità, queste,specifiche dei partiti leader di centrodestra e centrosinistra, Fd’I e Pd appunto; identità non più mobilitanti con pari forza degli italiani.

Altre sono le fratture che investono la società d’oggi e che i partiti faticano invece a cogliere. Altre le urgenze che i cittadini-elettori sentono. Non più la domanda di un riscatto sociale, propria di una società proiettata in un futuro di crescita, ma la paura di uno scivolamento nei gironi infernali dell’insicurezza e della povertà. Non più la fiducia nelle sorti progressive della democrazia di massa, ma un distacco crescente dalla classe (ormai “casta”) politica e, più in generale, dalle classi dirigenti. Un vasto programmo, ancora tutto da scrivere.

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