Le Europee incombono e la penna obbedisce. Sgattaiolare dalle elezioni dell’8 e 9 giugno equivarrebbe a una sorta di diserzione, almeno per chi, come me, un piccolo contributo alla civica responsabilità, sotto forma di informazione senza pretese didattiche, lo vuole dare. Va da sé che poi ciascuno voti come gli pare e persino non voti, anche perché al mercato della politica sono gli ambulanti a dover offrire merce di qualità e soprattutto non effimera, come quella con scadenza nel giorno stesso della produzione.
Voglio fin da subito chiarire che non mi piace per nulla la moda dei leader capilista, che raggranellano centinaia di migliaia di voti per regolare conti interni ed esterni, e poi buttano il fresco biglietto per l’Europa, alla faccia delle preferenze consumate di tanti elettori. Senza contare, mi scuseranno i segretari di partito che non nutrono buoni trascorsi con la scaramanzia, che vincere alle Europee si è rivelato in passato più un effetto boomerang che un effetto volano. Nel 2014 Matteo Renzi si è preso il 40% con il Pd, promettendo di fare terra bruciata di soloni e cariatidi ed è poi annegato nel referendum costituzionale del 2016. Nel 2019 è toccato a Matteo Salvini vincere al jackpot con il 34%, salvo poi bersi ogni consenso con i drink del Papeete.
Al contrario, proprio grazie al modello proporzionale del voto europeo, ogni cittadino ha l’opportunità di scegliere figure che promettono di non essere né fantasmi né meteore a Strasburgo. In particolare, mi piace sottolineare come in questa tornata Lecco si ritrovi al centro di un triangolo geografico molto promettente in termini di relazioni già collaudate, con tre figure di capacità certa e di sicuro spessore.
Penso infatti a tre amministratori come Letizia Moratti (già sindaco di Milano e protagonista di rango su scenari pubblici e privati, canditata in Forza Italia), Giorgio Gori (sindaco uscente di Bergamo e in corsa per il Pd, esempio di come un manager possa eccellere come amministratore) e Alessandro Fermi (in quota Lega, già sindaco di Albavilla e via via impegnato in ruoli sempre più di spicco in Regione). Profili che promettono di frequentare la cultura del fare, o meglio del fare bene, e di scansare quelle parti da factotum (o peggio del faccendiere) che talvolta conquistano il loro quarto d’ora di celebrità dentro l’Europarlamento o più spesso nei corridoi.
Mi preme però sottolineare alcune priorità. Anzitutto, il legame che i futuri europarlamentari dovranno preservare con i territori. Non si va in Europa solo per dissertare sui massimi sistemi, ma per connetterla con le esigenze dei territori, delle comunità, delle imprese. Si pensi ad esempio ai tanti bandi che pochi conoscono e per intercettare i quali, se fossi sindaco di una città anche di media grandezza, istituirei fin da subito un assessore all’Europa.
E a proposito di soldi, e di Pnrr, gradirei molto che cessassero le polemiche su chi ha portato all’Italia gli agognati 209 miliardi di euro. Pensiamo a come spenderli, casomai, visto che di sicuro non li ha portati Babbo Natale e sono una formidabile opportunità per il Paese. Del resto, sono mesi che le forze politiche nazionali ispirano le loro azioni ai sondaggi, sia per raggiungere un primato interno, sia per verificare i rapporti di forza con alleati e dirimpettai. Forse occorrerebbe ricordarsi che la posta in palio è altissima e gli attori devono essere all’altezza della sfida. Servono le carte in regola, più assi che jolly, nella consapevolezza che non si può giocare alla morra senza dita.
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