Non c’è nulla che consola nei giorni dell’Olimpiade. La strage al campetto di calcio sul Golan e il funerale druso dei bambini uccisi; altri morti in Sudan, guerra dimenticata da 20mila morti nell’ultimo anno e 8 milioni di profughi, la ripresa del conflitto in Etiopia, mentre una frana travolge un villaggio, centinaia di altri morti per calamità sempre più intense da aggiungere a quelle per la fame in un Corno d’Africa allargato e sempre più inquieto; e poi il conflitto ucraino che continua a tenere il mondo sull’orlo di una guerra mondiale e sfugge a ogni logica di pianificazione diplomatica tra annunci di speranza e calcoli militari industriali sulla rotta Mosca-Washington passando per l’Europa dei mercanti, conflitto ormai impantanato sulla offesa e la difesa armata, che mai riguarda il dialogo e quindi una pace possibile.
Papa Francesco all’Angelus di domenica scorsa ha messo tutto insieme per evitare che qualcuno dimentichi e per denunciare, ancora una volta, il segreto più custodito del potere per restare in sella e decidere le sorti drammatiche del mondo: l’economia delle armi. Ma ha aggiunto un capitolo alla sua riflessione nella speranza di essere più incisivo.
Ha detto che lo scandalo delle armi, la sua produzione e il suo ruolo cruciale nel sistema economico mondiale, contraddicono lo spirito di fratellanza delle Olimpiadi. Francesco va oltre la richiesta di una tregua olimpica, respinta al mittente. Spiega che il deterioramento della pace globale ha un responsabile preciso ed è uno “scandalo”. Si chiama produzione e commercio delle armi e la sua fortuna deriva dal livello di violenza globale imposto al mondo. L’impatto economico della spesa militare del pianeta in termini assoluti da due anni è aumentato di quasi il 17 per cento. La crisi ucraina ha fatto la differenza e la farà per molti anni. Francesco ha detto che le armi alimentano «guerre grandi e piccole», un fatto che la comunità internazionale «non dovrebbe tollerare», perché il commercio delle armi e la loro produzione «bruciano risorse» che potrebbero essere altrimenti impiegate.
In Italia il governo di Giorgia Meloni ha chiesto alle Commissioni Difesa del Parlamento di esprimere un parere su nuovi programmi militari per la spaventevole cifra di 34,6 miliardi di euro. Il parere che danno le Commissioni al ministro Guido Crosetto è sempre favorevole e i pochissimi parlamentari che alzano il dito nemmeno finiscono nelle brevi dei media. Ebbene di quei 34 miliardi e rotti ben 22 sono destinati a nuovi sistemi d’arma. L’Esercito si aggiudicherà 270 nuovi carri armati “Panther”, accordo con il colosso tedesco “Reihmetall” e poi personalizzati da Leonardo. Ma nella lista della spesa c’è di tutto: missili di vario tipo, blindati, perfino un simulatore per soldati, una sorta di videogioco da 160 milioni di euro, droni, alianti, fregate, sottomarini e 24 nuovi caccia per 7 miliardi e mezzo.
Servono? Sì, perché abbiamo ormai tanto guastato la pace e alterato la diplomazia che le economie traggono enormi vantaggi finanziari dai conflitti. Insomma la violenza paga, la violenza ha un’enorme potere d’acquisto. Dunque la violenza va alimentata. Ma per uno solo è uno “scandalo”. Bergoglio i conti li sa fare e non li nasconde. E se va alla finestra di piazza San Pietro praticamente ogni domenica a denunciarlo è perché sa che economia di pace ed economia di guerra non sono compatibili. L’una costruisce, l’altra distrugge. L’una produce diritti e libertà e nuove relazioni, l’altra crea poveri, depreda l’ambiente e giustifica la creazione del nuovo ordine mondiale che piace alle oligarchie del potere, quelle che per loro natura sfuggono a tutti i controlli democratici.
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