Erano passati pochi minuti dall’attentato contro Donald Trump, sabato scorso durante un comizio elettorale in Pennsylvania, è già le piattaforme dei social, le bacheche online e i gruppi di chat avevano emesso una quantità impressionante di teorie del complotto. Senza concedere il tempo dovuto alle indagini, dalle quali ricavare gli elementi minimi per un giudizio serio, i saccenti venditori di «verità» alternative erano già giunti alle conclusioni.
In questa cloaca si sono esercitati non solo singoli cittadini ma anche esponenti politici. «Hanno cercato di imprigionarlo e ora hanno provato a ucciderlo», ha scritto su «X» Greg Steube, membro della Camera dei rappresentanti del Partito repubblicano degli Stati Uniti. «È stato Joe Biden a dare gli ordini», ha commentato sempre su «X» il deputato della Georgia Mike Collins, facendo riferimento a una recente telefonata di Biden con i donatori della sua campagna elettorale, durante la quale il presidente avrebbe pronunciato la frase: «È ora di mettere Trump nel mirino». Sarebbero teorie innocue senza conseguenze se non avessero un vasto seguito popolare: il post di Collins è stato visualizzato infatti 5,7 milioni di volte. Immancabile poi il dito puntato pure verso il magnate di origini ebraiche George Soros, che avrebbe avuto un ruolo nell’attentato. Di recente la mano di Soros è stata accusata pure di aver sobillato le proteste di piazza in Georgia contro la legge governativa dell’«agente straniero» di impronta putiniana.
Lunedì 8 luglio scorso invece i complottisti si sono scatenati a proposito del missile che ha colpito l’ospedale pediatrico di Kiev. «Era della Nato» è stato scritto e detto sui social e in alcuni talk show, in accoppiata alla versione secondo la quale la struttura sarebbe stata invece raggiunta da pezzi di razzi della contraerea ucraina. Affermazioni in libertà senza la responsabilità di suffragarle almeno con qualche indizio se non con prove. Da notare che il Cremlino non ha mai negato la propria matrice del raid, motivandola con una «fake news»: nell’ospedale si nascondevano soldati di Kiev, un’eventuale presenza peraltro immotivata tenendo conto che nella capitale non si combatte e non c’era ragione per un assembramento militare. Del resto ancora oggi su Facebook si incontrano persone che negano l’eccidio di Bucha (1.600 civili uccisi in un mese di occupazione russa del distretto) o lo attribuiscono allo Stato aggredito, anche in questo caso senza alcun riscontro oggettivo. La verità è stata invece ricostruita da inchieste giudiziarie internazionali, anche dell’Onu
Il complottismo e le «fake news» (il 62% degli italiani ne è vittima, triste primato europeo) si diffondono perché si è ampliato il solco della sfiducia verso istituzioni politiche e giornalismo classico, indicati come élite che operano al solo scopo di imbonire il pubblico, di condurlo a decisioni pilotate. Ma questa generalizzazione, come tutte le generalizzazioni, è perniciosa: se nulla di ciò che ci viene raccontato è vero, allora tutto è vero, anche le teorie più strampalate. Intendiamoci, il potere politico opera per il consenso e fa uso della propaganda che però può essere svelata proprio grazie al giornalismo serio e competente, che non è sparito. Fra l’altro, a differenza dei social, è sottoposto alla legge dell’editoria e obbligato a rettificare notizie false. Inoltre se la diffusione di internet e dei social ha moltiplicato la pubblicità di opinioni infondate confuse per fatti, ha creato spazio pure per siti di informazione autorevoli e specializzati, fra l’altro in «fact checking», cioè verifica dei fatti. Certo gli utenti sono chiamati a un impegno, a cercare di discernere il vero dal falso ma non mancano le possibilità per esercitare questo ruolo di cittadini consapevoli. «La democrazia è il potere di un popolo informato» dice Alexis de Tocqueville.
Andrebbe poi chiamata in causa la responsabilità dei padroni delle piattaforme social. Ma proprio il proprietario di «X», Elon Musk - che ha dichiarato di «appoggiare pienamente» Trump in seguito alla sparatoria - ha promosso attivamente le teorie cospirazioniste, arrivando a suggerire in un post che permettere all’attentatore di salire sul tetto da dove ha esploso i colpi potrebbe essere stato un atto «intenzionale». Senza produrre prove, ovviamente. Il passaggio dalle opinioni ai fatti richiede tempo e onestà intellettuale, due ingredienti che oggi scarseggiano.
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