Russia e Ucraina, il traguardo al 20 gennaio

Russi e ucraini se le stanno dando di santa ragione come due pugili esausti all’ultimo minuto del round, che si spera finale, di un combattimento durissimo. Tutto o quasi è permesso, compreso i colpi bassi prima del gong finale e della lettura del verdetto - ossia i negoziati -, che, di fatto, determinerà la chiusura di una tragedia che non sarebbe mai dovuta iniziare.

In questo momento non importa chi vincerà: di certo la Russia ha già perso quando è stato sparato il primo colpo nel lontano 2014 e ancor di più nel febbraio 2022. L’Ucraina aveva solo l’ingrato compito di sopravvivere, di arrivare in piedi al gong finale. L’evento più incredibile e imprevisto di queste ultime ore è che nello scontro globale tra autocrazie e democrazie sono stati i “ribelli” islamici ad assestare il colpo del ko definitivo ad una dittatura, quella degli Assad, che permetteva alla Russia di essere potenza in Medio Oriente e in Africa. D’un tratto tutta la geopolitica decennale del Cremlino è crollata come un castello di carte. Lo stesso è avvenuto con quella iraniana.

L’onda lunga delle “primavere arabe” ha così travolto tutto e tutti, fornendo indirettamente all’Occidente su un vassoio d’argento la soluzione di questioni secolari e mettendo in serissima difficoltà Mosca. L’anelito di democrazia di intere popolazioni africane e mediorientali, anelito troppo a lungo soffocato nel sangue, ha in breve avuto la meglio. Speriamo soltanto che adesso l’Occidente - nei mesi passati vicino a sdoganare la dittatura Assad, riallacciando dopo anni le relazioni, – riesca a non sprecare un’occasione del genere.

La perdita della Siria è per il Cremlino una catastrofe geopolitica: addio alle basi nel Mediterraneo. La stella di Vladimir Putin è ormai calante.

L’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, il 20 gennaio prossimo, pare essere lo spartiacque tra il mondo di ieri, delle guerre recenti, e quello di domani con nuove regole internazionali.

Per tali ragioni i russi stanno accelerando con le operazioni militari in Donbass, che Volodymyr Zelensky ha definito ormai perso, come già successo con la Crimea. Il presidente ucraino ha ammesso che con le armi le due regioni non potranno essere riconquistate da Kiev. La sua affermazione sembra essere quella di chi si sta per sedere a un tavolo negoziale in cui dovrà fare concessioni in cambio di pace e sicurezza. Zelensky ha la necessità soprattutto di placare il malumore diffuso tra le alte sfere delle proprie Forze armate, che non vogliono accettare un responso del genere, nonostante il Paese non ne possa davvero più.

Ma dall’altra parte del confine non si sta meglio. I russi, supportati dai nord coreani, stanno tentando di ricacciare con ogni mezzo gli ucraini dalla loro regione, quella di Kursk dove, in agosto per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale, un esercito straniero ha piantato i suoi scarponi. La censura sta quasi avendo la meglio sui mass media.

L’unica cosa che si comprende è che le battaglie laggiù sono campali, all’ultimo uomo. Se Mosca è stata costretta a chiedere aiuto a Pyongyang, per avere a disposizione soldati e armi, significa che anche la Russia non se la passa poi così bene.

In conclusione, la speranza è che queste terribili settimane che ci separano dal 20 gennaio non portino ulteriori disgrazie. E che poi davvero il 20 gennaio… arrivi un miracolo.

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