Ricordi e nostalgie impossibili dell’Ulivo

Ah l’Ulivo. Nasceva trent’anni fa e rappresenta l’unica alleanza elettorale che ha fatto vincere il centrosinistra alle politiche. Dite: e l’Unione? Ma per favore. Quella era un’accozzaglia con un capo di ritorno e subito indebolito (Romano Prodi) che aveva prevalso per un pugno di voti e non pochi sospetti senza mai essere in grado di governare. Del resto cosa c’era da aspettarsi da un’ammucchiata che andava dal post Dc Clemente Mastella al rosso di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti. Ecco, quando Dario Franceschini, grande “mammasantissima” del Pd illustra la sua strategia del marciare divisi con i Cinque Stelle per poi colpire uniti al momento del voto, viene in mente più la seconda esperienza politica che non la prima. Dai, dietro queste parole si sa cosa si nasconde. La volontà di tagliare la strada a Elly Schlein per la premiership. Da tempo nei corridoi del Nazareno si sussurra che segretaria non è adeguata a sfidare Giorgia Meloni tra due anni alle politiche. Troppo sbilanciata a sinistra, dicono, per attirare il consenso dei moderati. Da lì tutte le operazioni a colpi di convegni del weekend per ricreare o rianimare un “centro popolare” che, assieme a quella di sinistra, era una delle due principali gambe proprio dell’Ulivo. E tirar fuori da lì il candidato premier, possibile attempato al posto della giovane Schlein.

Che Elly abbia rianimato il Pd recuperando cinque punti percentuali e avvicinandosi a Fratelli d’Italia, oltre che vincere anche qualche elezione regionale e comunale non sembra interessare nessuno.

Boh. Tornando all’Ulivo l’impressione è che si sia trattato di un’occasione perduta e inattuabile. Molte cose erano azzeccate, a partire dalla scelta della pianta nel nome e nel simbolo, un albero che riesce a essere bello in ogni stagione. Il problema è che molti, dopo aver contribuito a piantarlo, hanno provato a segarlo. Certo, se l’esperienza del primo Prodi premier è durata solo due anni è a causa di Rifondazione comunista, gente, Fausto Bertinotti in testa, capace di buttare via il biglietto vincente della lotteria per il vizio di doversi sempre specchiare nel proprio ombelico (la politica è un fatto umano, o forse lo era prima dell’incursione digitale, e spesso non molto complicata). Però guarda caso a succedere al professore di Bologna, con una maggioranza che c’entrava poco con l’Ulivo, era stato Massimo D’Alema, segretario nazionale del Pds, il quale rispetto all’alleanza prodiana ha adottato la medesima tattica utilizzata nei confronti della svolta di Occhetto: grande entusiasmo all’inizio e critiche crescenti poi.

Ma il vero guaio dell’Ulivo è stato quello di essere rimasto un albero: come quello di Natale. Con la differenza che anziché essere tirato fuori in occasione della Grande Festa, si mostrava solo per le elezioni. Un elemento che ha impedito all’alleanza di strutturarsi nella società e diventare un Partito democratico con una genesi diversa di quello nato più avanti, quando i frutti dell’Ulivo erano diventati un po’ stantii. La storia del centrosinistra, ma non solo avrebbe potuto prendere un’altra direzione evitando di finire nel vicolo cieco dell’Unione e poi, dopo il tramonto del berlusconismo, governare senza mai vincere. Romano Prodi sarebbe potuto approdare al Quirinale e Matteo Renzi sarebbe stato “limitato”. sarebbe potuto. Tutto questo, infine ,fino all’affermazione di Giorgia Meloni che di fatto ha costretto gli avversari a ripartire dal via.

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